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Equitalia condannata per “abuso del diritto”

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Roma – Il tanto richiamato “abuso del diritto”, sebbene raramente, può anche tornare a favore del contribuente.

Diverse volte ci siamo soffermati sulle tutele del soggetto che, di fronte alla “macchina burocratica”, non riesce a ottenere la cancellazione di ipoteche iscritte in relazione ad atti annullati, perché, secondo l’Agente della riscossione, la sentenza è stata appellata o l’ente impositore non ha ancora disposto lo sgravio.

I suddetti inconvenienti sono stati in gran parte risolti con la Direttiva n. 10 del 2010 di Equitalia, in quanto oggi, nel momento in cui il contribuente ottiene una sentenza favorevole o una sospensione giudiziale in cui la parte è il solo ente impositore, può, tramite semplice autodichiarazione, domandare il blocco delle attività esecutive e cautelari.

Occorre però eliminare alcune criticità del sistema, che, a quanto pare, continuano a verificarsi.

Emblematico è il caso esaminato dalla C.T. Prov. di Udine, con la sentenza dello scorso 9 marzo n. 26, sezione terza. La fattispecie è alquanto interessante.

Varie cartelle (per quanto emerge dalla lettura dei fatti di causa) non sono state notificate, ragion per cui il contribuente ricorre in sede fiscale contro l’atto di pignoramento presso terzi. La Commissione tributaria, ritenendo impugnabile detto provvedimento, lo annulla.

Equitalia, anziché appellare immediatamente la sentenza, emette due volte intimazioni ad adempiere, costringendo il contribuente a ricorrere altrettante volte in Commissione tributaria, annunciando l’imminente espropriazione se il debito non fosse stato saldato entro i cinque giorni, come ammette l’art. 50 del DPR 602/73.

Dal punto di vista tecnico, Equitalia, ma ciò è stato anche rilevato nella sentenza, avrebbe dovuto appellare la sentenza che ha annullato il pignoramento (cosa avvenuta in un momento successivo), e, solo dopo il ribaltamento del primo grado, avrebbe potuto continuare con l’espropriazione forzata.

La diretta emissione delle intimazioni di pagamento è cosa assolutamente fuori dal normale: per prima cosa, se le cartelle non sono state notificate, il potere impositivo e anche quello espropriativo sono consumati, in quanto nel momento in cui spira la decadenza tutto viene meno, a prescindere dalla fondatezza della pretesa.

Sì alla responsabilità da “lite temeraria”

In secondo luogo, ciò costituisce una palese violazione del decisum, che legittima l’adozione di misure che vanno al di là della semplice condanna alle spese processuali.

Tanto più che le intimazioni hanno obbligato il contribuente a presentare più ricorsi, ricorsi che, visti i fatti di causa, erano praticamente inutili: pubblicata la sentenza sull’annullamento del pignoramento dovuto al difetto di notifica della cartella, la riscossione “muore”.

Il tutto costituisce un’ipotesi di “abuso del diritto”, questa volta posta in essere dalla parte pubblica: per riprendere le parole dei giudici, emerge “che Equitalia abbia dimostrato molta superficialità nella emissione di tali atti e che un tale comportamento sia contrario al principio di trasparenza e denoti colpa grave ed anche abuso del diritto”.

Dal principio enunciato scaturisce che, a fronte di condotte illegittime al punto tale da configurare “abuso del diritto”, il contribuente può avanzare domanda di danno processuale, chiedendo la responsabilità ex art. 96 c.p.c., cosa che, nella specie, è stata accettata.

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