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Datagate, problema è Facebook non Cambridge Analytica

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Il problema è Facebook e non le aziende come Cambridge Analytica che sfruttavano i dati ottenuti su diverse decine di milioni di utenti in modo improprio e per i propri fini. Questo perché Facebook faceva finta di non vedere: è la denuncia di un ex manager della società della Silicon Valley.

“Tutto orribile” quello che accadeva, secondo lui. Reperire dal social network dati protetti e utilizzarli per i propri scopi era una pratica di routine per molte aziende e Facebook fingeva di non vedere, secondo l’insider del gruppo Usa, Sandy Parakilas.

“È stato doloroso guardare quanto accaduto, perché sono consapevole del fatto che se avessero agito, tutto questo poteva essere evitato”, dice al Guardian Parakilas, ex manager operativo della piattaforma social di Facebook che dal 2012 al 2013 è stato il responsabile delle politiche in caso di fuoriuscita e furto di dati da parte di programmatori di software terzi.

I dati personali e le informazioni private di forse fino a una centinaia di milioni di utenti Facebook sono stati rubati e utilizzati per i propri fini da diverse società, non solo Cambridge Analytica, che si è servita delle informazioni per manipolare le elezioni presidenziali Usa. Parakilas dice al Guardian di aver messo in guardia i dirigenti dell’azienda guidata da Mark Zuckerberg dai rischi di violazione della privacy rappresentati dalle pratiche troppo molli di Facebook.

Lo stesso top manager è stato convocato dalla Commissione parlamentare del Regno Unito sulla Cultura, i Media e il Digitale, in relazione allo scandalo Datagate. Secondo le rivelazioni di New York Times e del Guardian, Cambridge Analytica, società un tempo presieduta dall’ex consigliere di Donald Trump e coordinatore della sua campagna elettorale Steve Bannon, ha violato 50 milioni di profili Facebook per utilizzarli a fini elettorali.

“Mi preoccupava il fatto che tutti i dati che dai server di Facebook passavano ai programmatori non potevano essere controllati da Facebook stessa: non avevamo idea di quello che i sviluppatori di software avrebbero fatto con tutti quei dati”.

I termini di servizio e le impostazioni di Facebook, racconta Parakilas, non sono facilmente comprensibili e la società non si è servita a dovere dei meccanismi legali a disposizione, come per esempio quello che permette di fare appello alle revisioni di programmatori esterni, per assicurare che i dati non vengano usati in modo improprio, come invece è avvenuto.

Sinora l’amministratore delegato e confondatore di Facebook Zuckerberg non ha ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale per rispondere allo scandalo che ha spedito in ribasso del 6,7% i titoli ieri in Borsa. Si sa invece che il capo della sicurezza ha lasciato l’incarico. Oggi come si vede nel grafico riportato più sotto, i titoli perdono un altro 6% a Wall Street, scendendo ai minimi in oltre cinque mesi.

Parakilas, il cui compito presso Facebook era quello di indagare su eventuali raccolte di dati ad opera dei programmatori come Global Science Research, entità che è entrata in possesso delle informazioni su varie decine di milioni di profili e poi ha girato i dati a Cambridge Analytica, fa sapere di essere rimasto deluso dal comportamento dei suoi superiori, i quali non hanno ascoltato i suoi suggerimenti, ignorando ogni avvertimento.