Economia

Crollo petrolio: si rischia nuova ondata di primavere arabe

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NEW YORK (WSI) – Dal piccolo Azerbaijan fino al colosso saudita, il crollo dei prezzi del petrolio rischia di ingigantire i problemi economici della gente, scatenando una nuova ondata di primavere arabe. Proteste violente sono scoppiate in una serie di quartieri in tutto il paese del caucaso. È solo l’ultimo segnale di come la popolazione azera, frustrata per i livelli alti di disoccupazione, per il rincaro dei prezzi dei beni di base e per altri problemi economici, sia al limite della sopportazione.

Nell’ultimo caso, il 13 gennaio, le autorità del paese del caucaso si sono viste costrette a inviare soldati dell’esercito per sedare le rivolte scoppiate nel distretto di Siyazan. In più città sono stati ordinati arresti. La divisa nazionale, il manat, è entrata in  una spirale al ribasso, mentre i ricavi provenienti dal petrolio, che costituiscono la maggior parte delle esportazioni dell’Azerbaijan’s exports, sono crollati mettendo in ginocchio l’economia.

Negli ultimi giorni il manat ha perso il 40% circa nei confronti del dollaro, dopo che la banca centrale ha allentato le misure monetarie anti inflazione, alleggerendo, tra le altre cose, il suo controllo sui tassi di cambio. Le politiche sul peg stanno cambiando. Il limite fissato ai tassi di cambio fino a febbraio di due anni fa era legato al dollaro, ora si muove seguendo l’andamento di un basket costituito da dollari ed euro.

Per capire quanto si stia facendo sentire il crollo dei prezzi del greggio, scesi del 75% dai massimi di giugno 2014, basti sapere che le esportazioni di prodotti energetici portano circa tre quarti degli introiti statali complessivi al governo dell’Azerbaijan. La banca centrale azera ha detto di essere stata costretta a farlo per “preservare le riserve straniere e difendere la competitività dell’economia nazionale nell’arena del commercio internazionale”.

La crisi economica e la svalutazione del manat hanno però spinto la gente a manifestare il proprio scontento in diverse aeree, dove le proteste contro la corruzione e il dispotismo delle autorità, oltre che contro le condizioni economiche sempre più drammatiche, hanno provocato feriti e portato la polizia ad eseguire decine e decine di arresti.

Crollo petrolio goccia che traboccare il vaso in Azerbaijan

Non può ripagare prestito: uomo si dà fuoco

Proprio come era avvenuto in Tunisia, a dare il la alle manifestazioni di protesta è stato un uomo che si è dato fuoco. Un operaio di 63 anni è arrivato al gesto estremo, davanti al suo posto di lavoro, per via dell’impossibilità di ripagare un prestito contratto con una banca.

Un altro paese ricco di petrodollari, il Kazakhstan, in agosto ha lasciato che la sua moneta scambiasse liberamente, abbandonando il corridoio di trading imposto in precedenza. Da allora il dollaro è salito da 188 tenge, la valuta kazaka, a 370 (dati aggiornati al 12 gennaio).

L’Azerbaijan e il Kazahstan non sono certo i soli paesi che stanno pagando caro il ribasso delle quotazioni del petrolio. La Russia è in una fase di recessione e l’Oman sta pianificando una spending review che limerà del 15% le uscite.

Mentre in Arabia Saudita, dove la popolazione non potrà più trarre vantaggio da tutta una serie di sussidi sociali, il rischio che il debito faccia crac è salito oltre i livelli del Portogallo (185 punti base), con il costo delle assicurazione contro il default (contratti Cds) che è salito a 190 punti base, più che raddoppiato nel giro di un anno, la Malaysia perde $68 milioni ogni volta che il prezzo sui mercati scende di un dollaro al barile.

Fonte: Radio Free Europe Radio Liberty