Economia

Brasile, perché è importante per l’economia e per l’Italia?

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Il Brasile è balzato al centro dell’attenzione negli ultimi giorni, a causa della difficile transizione di potere fra il leader uscente Bolsonaro e il rieletto presidente Lula. Dopo una feroce campagna elettorale, il numero uno del Partito dei Lavoratori l’ha spuntata sul capo della destra brasiliana, che ha disertato la cerimonia d’insediamento del rivale.

Le tensioni politiche nel Paese sono culminate con l’assalto al Parlamento da parte di una frangia di sostenitori del leader uscente, che ha condannato le azioni illegali dei suoi seguaci. Ora a Lula spetta il difficile compito di stemperare il nervosismo di queste ore e intavolare un nuovo percorso di crescita per una delle maggiori economie mondiali. Facciamo il punto sull’economia del Brasile e i sui suoi rapporti con l’Italia.

Il Pil del Brasile vale il 2,3% dell’economia globale

Secondo quanto emerso dall’ultima edizione del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, pubblicata a ottobre 2022, nel 2021 l’economia brasiliana ha avuto un peso del 2,3% sul Pil mondiale e del 4% sul totale delle 156 economie emergenti e in via di sviluppo. Da sottolineare che tra queste ultime rientrano anche Cina e India, con un peso rispettivamente pari al 32% e al 12% (18,6% e 7% sul totale del Pil mondiale).

Il Brasile è incluso nelle 33 economie emergenti e in via di sviluppo dell’area America Latina e Caraibi, che nel complesso rappresentano il 12,6% del totale dei mercati emergenti e in via di sviluppo e il 7,3% del Pil globale.

Per quanto riguarda le esportazioni di beni e servizi, il Brasile ha un peso pari al 3% delle economie emergenti e in via di sviluppo e all’1,1% del totale a livello mondiale.

Sul piano demografico, con i suoi 214,3 milioni di abitanti conteggiati a fine 2021, la popolazione brasiliana è pari al 3,2% del totale dei 156 mercati emergenti e in via di sviluppo e al 2,8% della popolazione globale.

Le proiezioni del Fmi sul Pil del Brasile

Nel 2021 il Pil del Brasile ha registrato una crescita del 4,6% annuo ma è destinato a rallentare nei prossimi due anni. Le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale, infatti, indicano uno sviluppo del 2,8% nel 2022, rivisto al rialzo dell’1,1% rispetto alla precedente edizione del World Economic Outlook, pubblicata a luglio. Nel 2023 è attesa un’ulteriore frenata al +1%, valore limato dello 0,1% rispetto alla lettura di luglio.

Per quanto riguarda l’inflazione, anche il Brasile ha registrato un’accelerazione dei prezzi al consumo nell’ultimo anno, passando dall’8,3% del 2021 al 9,4% previsto dal Fmi per il 2022. Nel 2023, invece, l’ente stima un rallentamento al 4,7% annuo.

Uno dei principali problemi dell’economia brasiliana resta l’elevata disoccupazione, pari al 13,2% nel 2021. Solo Grecia (15%), Spagna (14,8%) e Colombia (13,8%) hanno registrato tassi superiori, anche se va detto che le modalità di rilevazione variano da Stato a Stato. Le proiezioni del Fmi prevedono un miglioramento nel 2022 e nel 2023, con tassi di disoccupazione rispettivamente in calo al 9,8% e al 9,5%.

I rapporti commerciali con l’Italia     

Grazie alla sua economia diversificata, il Brasile esporta una vasta gamma di prodotti, in particolare commodity agricole (cereali, soia, zucchero, caffè e carne bovina), minerali (ferro, bauxite, manganese, rame e niobio), prodotti industriali, petroliferi e forestali.

Italia e Brasile intrattengono fitti rapporti commerciali, come emerge dai dati dell’Osservatorio Economico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Il nostro Paese, infatti, rappresenta l’ottavo esportatore in Brasile a livello mondiale e il secondo dell’Unione Europea, dopo la Germania.

Nei primi sei mesi del 2022, secondo il locale Ministero dell’economia, le esportazioni italiane hanno raggiunto il valore di 2,76 miliardi di dollari, in aumento del 2,2% rispetto al corrispondente periodo del 2021. Si tratta del valore più alto dal primo semestre del 2015 compreso. Tra le principali voci, si segnala in particolare l’incremento delle vendite di prodotti chimici e farmaceutici (+23,7% a 618 milioni di dollari), mezzi di trasporto e ricambi (+15,6% a 305 milioni) e tessile e calzature (+49,4% a 85 milioni). In contrazione le vendite di macchinari (-9%, 997 milioni).

Viceversa, le importazioni di prodotti brasiliani in Italia sono aumentate del 23% rispetto al primo semestre del 2021, raggiungendo i 2,46 miliardi di dollari. A seguito dell’incremento dei prezzi delle materie prime (agricole e non) sui mercati internazionali, sono in particolare aumentate le importazioni di caffè in grani (+84,6% a 387 milioni), metalli e minerali (+21,5% a 596 milioni) e carta e cellulosa (+38,6%, a 427 milioni). L’Italia è il quattordicesimo Paese importatore di prodotti brasiliani, e quarto tra i Paesi Ue, dietro a Paesi Bassi (5,76 miliardi di dollari), Spagna (4,74 miliardi) e Germania (3,21 miliardi).

Crescono gli investimenti diretti in Brasile da parte di aziende italiane

A partire da gennaio 2021 gli investimenti esteri in Brasile sono cresciuti significativamente, raggiungendo a fine 2021 il valore di 46,4 miliardi di dollari (+22,9% sul 2020) e toccando nel febbraio 2022 gli 11,8 miliardi, (+34,1% anno su anno).

Con riferimento alla provenienza degli investimenti, i dati elaborati dalla Banca Centrale secondo il criterio del cosiddetto “investitore immediato” (ovvero il Paese da cui provengono in prima battuta i flussi finanziari, senza indagare su eventuali operatori di Paesi terzi dietro a tali investimenti) mostrano che nel 2021 l’Italia ha occupato la decima posizione, con 0,9 miliardi di dollari. Il primo paese investitore in Brasile sono stati gli USA (13 miliardi), seguiti da Lussemburgo (5 miliardi) e Paesi Bassi (4,1 miliardi).

Tra le aziende italiane presenti sul territorio brasiliano figurano colossi come Assicurazioni Generali, Barilla, Campari, Enel, Eni, Ferrero, Fiat, Lavazza, Luxottica, Pirelli, Prysmian, Salini Impregilo e Tim.

Atteso un miglioramento delle relazioni internazionali con Lula

La rielezione di Lula dovrebbe portare dei risvolti in termini di politica estera rispetto alla presidenza di Bolsonaro. Nel programma elettorale del Partito dei Lavoratori figura l’impegno a favore della transizione energetica e dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili nelle aree rurali del Paese, connesso a una limitazione della deforestazione e ad uno stop all’estrazione illegale di risorse.

La presa di potere di Lula può determinare un miglioramento dei rapporti con Stati Uniti e Unione Europea, quindi anche con l’Italia, anche se la Cina resta il primo partner commerciale del Brasile e le tensioni tra Washington e Pechino potrebbero rappresentare un problema.

Uno dei punti cardine delle nuove relazioni internazionali sarà la ratifica dell’accordo Ue-Mercosur, volto a rimuovere gran parte dei dazi tra le due macroaree economiche. L’intesa è in standby da oltre due anni, anche a causa delle divergenze in tema di politica ambientale con Bolsonaro.

L’accordo Ue-Mercosur al centro delle trattative

Il blocco Mercosur, abbreviazione di Mercado Común del Sur, è nato nel 1991 con il Trattato di Asunción e racchiude Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay e, in qualità di associati, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù e Suriname. L’accordo ha rimosso i dazi tra i Paesi aderenti, istituendo una tariffa esterna comune, e ha permesso di agevolare gli spostamenti interni dei cittadini.

Lo sblocco dell’intesa tra Ue-Mercosur, previsto entro giugno, darebbe vita ad un’area di libero scambio da 780 milioni di abitanti, eliminando il 93% dei dazi sulle merci comunitarie. Inoltre, come sottolineato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, accrescerebbe la competitività dei prodotti europei in diversi settori: macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici e farmaceutici, abbigliamento, calzature, dispositivi ottici, medici e di precisione. In molti di questi settori, come evidenziato sopra, l’Italia ha un interesse elevato.

Discorso a parte per l’agroalimentare: se da un lato verrebbero azzerati i dazi, dall’altro la concorrenza delle merci sudamericane, più economiche, potrebbe condizionare il mercato e generare problemi a livello di standard di sicurezza alimentare.