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BOT e BTP non sono più garantiti dallo stato

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ROMA (WSI) – Ebbene, eccovi un’interessante notizia. Da quest’anno, come stabilito nel trattato che istituisce il fondo salva stati (ESM), tutti i paesi europei sono obbligati ad applicare le Clausole di Azione Collettiva (CAC) sui propri titoli di debito pubblico di nuova emissione. Leggete qui il comunicato del ministero del’economia e delle finanze.

Cosa sono le CAC? Esse sono postille (vere e proprie clausole vessatorie) previste sui nuovi titoli di stato di durata superiore a 12 mesi, emessi da ogni paese europeo aderente all’ESM (leggi qui il trattato), con la prima cedola scadente a partire dalla data del 1 gennaio 2013. Le CAC regolano la possibilità, per uno stato che versa in una condizione di crisi del debito sovrano, di ricontrattare interessi, scadenze e di proporre agli investitori lo scambio con obbligazioni di diversa tipologia. Gli accordi europei prevedono espressamente che l’emissione di titoli di debito pubblico con le CAC non deve superare il 45% del totale emesso in un anno (leggi qui le linee guida del dipartimento del tesoro, sulla gestionde del debito pubblico del 2013).

In pratica, grazie al trattato che istituisce il fondo salva stati (a cui anche l’Italia ha aderito), BOT e BTP non saranno più garantiti dallo stato. Ogni paese europeo, infatti, potrà legittimamente rinegoziare la propria esposizione debitoria con gli investitori, facendo saltare all’aria gli accordi originari divenuti per esso insostenibili (un po’ come già accade in Italia con la previdenza sociale; passano gli anni e lo stato modifica continuamente le condizioni per andare in pensione, facendo subire un danno al contribuente il quale vede sempre di più allontanarsi il giorno in cui poter accedere alla pensione e sempre più diminuire la sua entità).

Il limite di emissione del 45% è sicuramente una tutela affinché la maggior parte dei titoli di debito pubblico di nuova emissione resti garantito così come lo sono sempre stati. Ma io non ci conterei troppo; quanto tempo passerà affinché tale limite venga modificato e aumentato, fino ad avvicinarsi al 100%? Che grado di affidabilità avrebbero questi titoli nei confronti degli investitori, di cui lo stato emittente può cambiare le condizioni iniziali di sottoscrizione, quando più conviene ad esso?

Certo, il rendimento di questa nuova tipologia di titoli pubblici sarebbe più alto rispetto a quelli tradizionali, proprio perché in essi sarebbe insito il rischio di ricontrattazione in negativo dei titoli da parte dello stato, in caso di rischio del suo default. Ma se ciò è espressamente previsto in queste CAC le quali, per legge, possono essere obbligatoriamente aggiunte ai titoli di debito pubblico di nuova emissione, allora questo trattato sfaterebbe il secolare mito, secondo il quale investire in titoli di stato sarebbe un investimento sicuro. In definitiva, dal 2013 il fallimento di uno stato è previsto per legge.

Noi, umili blogger studiosi dei fenomeni economici, sono anni che mettiamo in allerta le famiglie risparmiatrici circa il fatto che i titoli pubblici non sono sicuri come ci hanno sempre insegnato, che gli stati come l’Italia sono a rischio di fallimento. Ci è stato sempre replicato (soprattutto dagli economisti, quelli sapientoni) che un soggetto statale è un’entità troppo grande per fallire e non garantire il proprio debito. Ma allora, se così fosse, perché prendere l’iniziativa di adottare queste clausole che, di fatto, pongono gli stati in una posizione privilegiata rispetto all’investitore, in caso di rischio? A quale rischio lo stato si cautelerebbe, grazie all’adozione di queste clausole, se non a quello di finire con le gambe all’aria?

Visto che la legge è la legge, da oggi è certo, lo possiamo dire tutti (anche quegli economisti sapientoni) che i titoli di debito pubblico non sono titoli da investimento sicuro e che uno stato può fallire. Adesso lo dice anche la legge!

Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Il blog di Pasquale Marinelli – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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