Economia

Banche italiane, paura di un contagio

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Per scongiurare una corsa agli sportelli il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan è obbligato a negare la possibilità di un bail in ma le chance che per superare la crisi del settore bancario italiano venga seguito lo stesso approccio che ha portato a un salvataggio ‘ordinato’ e ‘pulito’ attraverso l’intervento dei privati sono ridotte al lumicino.

La Bce ha già fatto sapere che, anche se non ha superato gran parte degli stress test condotti dalle autorità europee, MPS è da ritenere solvente nonostante il persistere di seri problemi di liquidità. Al contrario, Banco Popular, malgrado simili carenze patrimoniali, aveva passato gli stress test del 2016.

Ciò dà l’esempio di quanto inefficaci siano questi esami della solidità di bilancio delle banche dell’area euro e di quanto soggettivo sia il processo di risoluzione di una banca europea in questo stadio.

Parlando al convegno dell’ABI su Basilea 3 giovedì scorso, il vice presidente della Bce Vitor Constancio ha accennato al fatto che, in certe circostanze precise, sarebbe più conveniente salvare una banca piuttosto che passare dal meccanismo di risoluzione bancaria.

I contribuenti dovrebbero essere chiamati in causa non solo per salvare banche come MPS ma anche per venire in soccorso degli obbligazionisti di debito subordinato, quello a maggiore rischio, di una banca, sul pretesto che non erano consapevoli dei pericoli che incorrevano.

Un programma di bailout degli obbligazionisti, finanziato con i soldi dei contribuenti, è una delle opzioni sul tavolo anche per le due banche venete in crisi, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che hanno già ricevuto miliardi di euro di aiuti pubblici. Nel caso di Banco Popular sono state imposte perdite pari a 3,3 miliardi di euro a azionisti e obbligazionisti e se Santander non fosse intervenuta il governo avrebbe dovuto sborsare 7 miliardi.

Banche, Padoan escude bail in ma ha perso credibilità

Padoan va ripetendo che le due banche non saranno chiuse e che non scatterà il bail in, ma il ministro delle Finanze ha perso parte della sua credibilità in materia, dal momento che l’anno scorso aveva assicurato che non ci sarebbe stato bisogno di bailout in futuro e che le banche in Italia, nonostante gli evidenti problemi di redditività e di smaltimento dei crediti deteriorati in portafoglio, non avevano un problema patrimoniale.

I problemi del settore sono invece evidenti e noti, tanto che c’è un rischio reale che un bail in anche di una sola banca a piccola o media capitalizzazione come Veneto Banca o Pop Vicenza possa spingere gli investitori e i correntisti a spostare i loro soldi dalle banche meno attrezzate a quelle finanziariamente più solide, anche fuori dai confini italiani.

È inutile precisare che un evento del genere non farebbe che accelerare il problema di scarsa liquidità degli istituti in crisi e scatenare una fuga di capitali. Anche in Spagna, un paese che aveva ristrutturato il settore bancario anni fa con un piano che è costato 300 miliardi ai contribuenti, non ci è voluto molto perché il contagio si diffondesse. Dopo il collasso di Banco Popular, Liberbank, l’ottava banca del paese, ha subito un tonfo dei titoli in Borsa, i quali hanno perso un terzo del loro valore nei tre giorni successivi all’intervento lampo su Popular, rilevata da Santander.

Lunedì scorso le autorità di controllo spagnole, CNMV, sono dovute intervenire proclamando uno stop di un mese alle vendite allo scoperto sui titoli Liberbank. La misura ha interrotto momentaneamente i cali in Borsa, ma la paura degli obbligazionisti e degli azionisti per il futuro dell’istituto rimangono.

In Italia un simile contagio sarebbe molto più difficile da contenere. È il motivo principale per cui a MPS è stato concesso un trattamento di favore. Se anche Pop Vicenza e Veneto Banca sono salvate con i soldi pubblici, il messaggio che la Bce darebbe sarebbe che le banche non possono chiudere se il sistema finanziario in cui operano è instabile.

Finché il sistema bancario è in crisi, gli investitori in una determinata banca saranno salvati dai soldi pubblici. Nel caso delle due banche venete il conto sarebbe estremamente elevato: mentre l’intervento con capitali privati costerebbe 1,2 miliardi di euro circa – con il governo che sta chiedendo uno sconto per arrivare a 600-800 milioni di esborso da parte dei privati – un intervento di salvataggio statale per coprire le perdite di correntisti e altri costerà fino a 11 miliardi di euro.

Tra le soluzioni al vaglio c’è quella di una risoluzione “morbida” che passi tramite la divisione tra good bank e band bank, con Intesa Sanpaolo – e forse altri player del settore – che si accollerebbe la prima. In ogni modo si arriverebbe all’azzeramento di azioni e bond subordinati. Bisognerebbe poi convincere fondi come Fortress e Elliott a rilevare la parte tossica delle banche venete e prendere in gestione le sofferenze iscritte nei bilanci delle banche venete.