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Atlantia cede l’8%: dalla Consulta un assist per il governo

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“La decisione del Legislatore di non affidare ad Autostrade la ricostruzione del Ponte è stata
determinata dalla eccezionale gravità della situazione che lo ha indotto, in via precauzionale, a non affidare i lavori alla società incaricata della manutenzione del Ponte stesso”. Punto e a capo.

La Corte Costituzionale, con queste parole, ha respinto tutti i possibili rilievi di incostituzionalità avanzati dagli avvocati di Autostrade per l’Italia, spianando il terreno al governo nella richiesta di una nuova offerta più vantaggiosa da parte di Aspi per l’aggiornamento delle concessioni. Su quest’ultimo tavolo il presidente del Consiglio ha affermato di voler trovare una soluzione, senza escludere la possibilità della revoca, “entro il fine settimana” (ovvero entro il 12 luglio).

Atlantia, il crollo in borsa

Agli occhi del mercato la decisione della Consulta non poteva che rivelarsi dannosa. Non solo perché Aspi non potrà chiedere un risarcimento per le decisioni contenute nel Decreto Genova, ma anche perché quello  futuro assetto delle concessioni potrebbe essere più svantaggioso del previsto. Il titolo della società capogruppo Atlantia è stato duramente colpito a Piazza Affari, con un calo dell’8,2%.

Questa mattina il Consiglio d’amministrazione di Atlantia si è riunito prima di una convocazione presso il ministero dei Trasporti, prevista per il pomeriggio. Secondo indiscrezioni di stampa, il Cda potrebbe aver maturato una nuova offerta da presentare al governo per l’aggiornamento delle concessioni autostradali. Attorno al tavolo sono previsti i vertici del gruppo Atlantia e i capi di gabinetto del Mit, del ministero dell’Economia e un rappresentante della presidenza del Consiglio.

Le intenzioni dell’esecutivo sono chiare: strappare alla società quanti più investimenti possibili sulla rete autostradale, a fronte di una riduzione dei pedaggi. Il che sarebbe un ottimo affare per lo stato e per gli utenti, un po’ meno per gli azionisti di Atlantia. Inoltre, Palazzo Chigi ha affermato di voler entrare nel capitale di Aspi in modo da diluire la quota della famiglia Benetton, attualmente intorno al 30%.

Se l’accordo non si dovesse trovare il governo si dice pronto a procedere con la revoca, che farebbe scattare un conto da 7 miliardi a carico dello stato (una cifra drasticamente ridotta rispetto ai 23 miliardi previsti dalla concessione, grazie all norme del decreto Milleproroghe, per il quale Aspi si è appellata all’intervento della Commissione Ue).

“O arriva una proposta vantaggiosa per lo Stato o procediamo alla revoca, pur consapevoli che comporta insidie giuridiche”, ha detto Conte a La Stampa, commentando gli sviluppi emersi dalla sentenza della Corte Costituzionale.