Società

“Anche la Fed non ci capisce più nulla” (e lo ammette)

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New York – In settimana abbiamo appreso che il PIL degli Stati Uniti è cresciuto del 2% nell’ultimo trimestre. Il dato appare in miglioramento rispetto alla crescita dell’1,3% del secondo trimestre (che però è poi stato rivisto al ribasso rispetto alla prima stima al 2%). Dico questo perché temo che nei prossimi mesi rivedremo al ribasso anche questi ultimi dati sul PIL, come altri dati economici dell’ultimo trimestre non certo positivi.

Ciò detto, non siamo in una fase di recessione, ma piuttosto in una fase in cui l’economia cerca di cavarsela alla meno peggio. Un 2% non è così male, ma possiamo comprendere più cose se guardiamo alle componenti sottostanti.

Un fattore importante della crescita trimestrale è stata la spesa per la difesa aumentata piuttosto considerevolmente di quasi il 13%. Invece, i consumi personali sono cresciuti solo del 2%. Poi c’è l’inflazione. Se pensate che l’inflazione sia stata del 2% rimaniamo con un numero sul PIL sopravvalutato dello 0,5%. Se avessimo avuto una normale spesa per la difesa, la crescita sarebbe stata inferiore all’1%.

L’inflazione può essere misurata in diversi modi. I dati sul PIL non utilizzano l’indice dei prezzi al consumo che adesso indicano un’inflazione superiore al 2%. È possibile ottenere un PIL molto diverso, a seconda di quale dato sull’inflazione si usa. E questi numeri dipendono da quali ipotesi si fanno quando si calcola l’inflazione.

Mentre tutti sembra sappiano comprendere il PIL, c’è da chiedersi se è una misura che ha senso nel mondo di oggi. Potremmo, ad esempio, calibrare meglio il reddito privato lordo, piuttosto che guardare un dato basato sui consumi come il PIL? E non potrebbe bastare un indicatore che misura le variazioni nella spesa pubblica? A ben vedere la spesa pubblica può essere solo una funzione di ciò che viene prodotto nel settore privato.

L’economia delle ipotesi

Noi tutti vogliamo avere dei numeri che siano “reali.” Ma l’economia è diversa dalla contabilità. L’economia formula ipotesi in quasi tutti i modelli che utilizza e quelle assunzioni vengono fatte partendo da un punto di vista. Quante discussioni potremmo fare su come procedere secondo alcune linee di pensiero:

“Guarda questa statistica. Sta chiaramente indicando una salita [o una discesa] del PIL [o l’occupazione o di …]. Quindi se solo potessimo risolvere il problema ‘X,’ avremmo risolto tutti i problemi del mondo.”

Per esempio, posso dimostrare che alzare le tasse ai ricchi non ha alcun effetto sulla loro spesa. Ma altri arrivano all’ovvia conclusione che dobbiamo sempre più aumentare le tasse ai ricchi. Basta chiedere a Monsieur Hollande qual è, secondo lui, la giusta aliquota. Inoltre posso altrettanto facilmente dimostrare che l’aumento delle tasse per i ricchi si tradurrà in una grave calamità economica.

Ma ascolterò contro-argomentazioni sul fatto che la mia interpretazione ha tralasciato alcuni fattori e quindi conclusione è sbagliata. E così all’infinito.

Questo ci riporta ad una citazione di Anne Rice:

“Pochissime persone in questo mondo davvero cercano la conoscenza. Mortali o immortali, pochi davvero la chiedono. Al contrario cercano di strappare all’ignoto le risposte che sono già presenti nella propria mente – giustificazioni, conferme, forme di consolazione senza le quali non si può andare avanti. Il chiedere in modo vero è aprire la porta ad una tromba d’aria e lasciarsi trasportare via. La risposta può annientare la domanda e chi la pone.”

Gli esseri umani cercano certezze. Siamo particolarmente ansiosi quando non otteniamo una spiegazione per qualcosa che non capiamo. Che si tratti di religione, di politica, di filosofia, un cruciverba o di economia, vogliamo essere sempre in grado di giungere ad una conclusione definitiva che riteniamo corretta. C’è uno stato di compiacimento psicologico nella certezza. Certi modelli, anche se errati, ci danno l’illusione della certezza. Dobbiamo stare attenti alle illusioni verso cui ci aggrappiamo.

L’economia diventa una disciplina piuttosto problematica quando si tenta di creare modelli matematici che dovrebbero guidare la filosofia politica e la prassi.

Un solo modello non va bene e le performance passate in realtà non sono indicatori di futuri risultati. Deve essere preso in considerazione l’intero contesto economico. Non possiamo semplicemente estrapolare gli anni di Reagan o Clinton e dire: “Se riuscissimo a mala pena a ripristinare quelle politiche potremmo raggiungere gli stessi risultati.” Questo sarà possibile solo se riusciremo a modificare anche tutte le altre variabili che sfuggono al controllo del governo!

I modelli possono essere utili, ma non sono esatti. Ci danno un senso della direzione. Il loro utilizzo dovrebbe essere fatto pensando di utilizzarli più come una stella polare piuttosto che come un sistema GPS. Maggiore è il numero di variabili che vengono considerate nell’attuale situazione e minori sono le probabilità di essere in grado di elaborare la ricetta “del pulsante facile”, che invece desidera la politica.

Alla fine l’unico strumento che ci rimane è il buon senso, con uno sguardo alla storia. “Sappiamo”, in generale, che minore è il prezzo e maggiore è la domanda.

Non possiamo lasciare che le istituzioni finanziarie impazziscano. Ci devono essere alcune protezioni per il pubblico. Il debito è utile fino a quando non diventa un peso e dobbiamo stare attenti a come lo usiamo. Siamo in grado di utilizzare decine di questi luoghi comuni, sulla base del buon senso comune.

Eleggiamo i politici e poi ci aspettiamo che in qualche modo il mondo migliori in relazione alle loro promesse. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno di fare è cercare di vedere la direzione generale verso cui ci stanno portando e basare i nostri voti e le nostre decisioni personali in base al fatto che ci piace o meno quella direzione. Conviene fidarsi di un economista o peggio ancora di più di un politico che dispone solo di un modello? Può essere pericoloso.

Chiudiamo con una citazione del mio banchiere centrale preferito Richard Fisher, presidente della Federal Reserve di Dallas.

“Sarà una sorpresa per chi mi conosce sapere che non ho sostenuto un’ulteriore politica monetaria accomodante durante i nostri incontri della settimana scorsa. Ho più volte chiarito durante il FOMC e in discorsi pubblici, di ritenere che ogni ulteriore programma per avventurarsi in questa direzione ci porta verso acque profonde e inesplorate. Alla Fed siamo fortunati in quanto abbiamo dei modelli econometrici sofisticati e dei bravi analisti. Possiamo facilmente arrivare a delle teorie plausibili su quello che dovremo fare quando dovremo virare o eventualmente fare retromarcia. Tuttavia la verità è che nessuno nel comitato, né il nostro personale presente nel board dei governatori e nemmeno le 12 banche, sanno veramente che cosa può far ripartire l’economia. Nessuno sa veramente cosa potrebbe funzionare per rimettere in rotta la crescita. E nessuno, e di fatto anche nessuna banca centrale, sa bene come riportare la situazione in equilibrio partendo dal punto nel quale ci troviamo. Nessuna banca centrale e nemmeno la Federal Reserve è mai stata in questa nave fino ad ora”.

Infatti, anche noi non siamo mai stati prima d’ora in questa nave, sia come nazione sia come mondo. Sappiamo cosa succede quando un paese o un altro si scontra con i limiti del contrarre un debito eccessivo. Ma quando lo fa la maggior parte del mondo sviluppato? A quel punto inizia un’altro viaggio.

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