Economia

“Cosa è successo a Wall Street l’ultima volta che lo Shiller PE era così alto”

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Il boom delle quotazioni di Snap nel suo giorno di debutto a Wall Street è sufficiente a spiegare l’atmosfera che si respira, da settimane, a Wall Street. Il titolo della società proprietaria del servizio di messaggistica Snapchat ha chiuso in rialzo di oltre +40%, raccogliendo $3,4 miliardi di capitale dagli investitori. Una performance stellare in un contesto di buy continui a Wall Street – ieri gli indici Usa riportavano tuttavia un trend improntato alla cautela -, che hanno portato l’indice Dow Jones a stracciare ogni record, e a passare da quota 20.000 a oltre 21.000 in un mese di contrattazioni.

Nuovi record sono stati inanellati anche dal Nasdaq e dallo S&P. Ma anche gli investitori più bullish iniziano a essere tormentati dal dubbio assillante che si ripresenta puntualmente quando i mercati sono alla mercè dell’euforia: cosa fare ora?

Nicholas Colas, analista di Convergex, agenzia di trading e di brokeraggio a livello globale, spiega, numeri alla mano, cosa è accaduto “l’ultima volta che l’azionario Usa è stato così costoso” e ricorda, nel farlo, che il miglior motivo per stare alla larga da esso risiede in una parola: “valutazione”. Ricordiamno che Nicholas Colas è stato intervistato anni fa da
Wall Street Italia. Così afferma oggi:

“Le valutazioni del mercato azionario sono essenzialmente una misura della potenziale longevità di un qualsiasi mercato toro o mercato orso. Valutazioni alte fanno pensare a ritorni inferiori in futuro; valutazioni basse promettono ritorni futuri migliori”. Ora, continua Colas, “visto che le basse valutazioni tendono a presentarsi durante i periodi di turbolenze economiche o finanziarie, quando sia i prezzi degli asset che gli investitori sono depressi, tutto ciò porta intuitivamente alla vecchia regola di trading: “Invece di piangere, dovresti acquistare”.

“Una misurazione dell’attuale valutazione di Wall Street, sottolinea l’esperto, è il Shiller PE, che “è semplicemente il prezzo del’indice S&P 500 diviso gli utili che, nel precedente decennio, sono stati riportati in media dalle società scambiate sul listino. La situazione è la seguente.

  • Lo Shiller PE (in data 2 marzo) è 29,89 volte gli utili
  • Il valore è ben superiore alla media che va avanti dal 1880, pari a 16,7 volte.
  • Il valore è anche piuttosto vicino al multiplo di 30 volte, che caratterizzò il Black Tuesday del 1929, così come è simile alle valutazioni della bolla dot-com della fine degli anni ’90.

I limiti dello Shiller PE

L’economista fa tuttavia notare che gridare “Al lupo” dopo aver letto queste constatazioni può essere non esatto,  a causa di due motivi.

Il primo, non si può dire che i numeri di cui sopra siano del tutto attendibili, dal momento che, nel corso degli ultimi 100 anni, le regole contabili sull’iscrizione degli utili al bilancio sono state interessate da profondi cambiamenti.

Il secondo motivo è che i tassi di interesse ricoprono un ruolo cruciale nella determinazione delle valutazioni del mercato azionario, e lo Shiller PE tende a ignorarli del tutto.

Fatta questa precisazione, Colas afferma che l’indicatore riesce comunque a dare indicazioni utili sul trend dei ritorni futuri dell’azionario, e fa riferimento al paper di Cliff Asness di AQR, che nel 2012 scrisse un articolo in cui esaminò i ritorni di Wall Street su un arco temporale di 10 anni, basandosi sullo Shiller PE.

Di seguito, le conclusioni a cui arrivò Asness.

  • Esiste una correlazione lineare e diretta tra lo Shiller PE e i ritorni futuri dei mercati azionari.
  • Se hai acquistato azioni Usa quando l’indicatore si attestava al di sotto della soglia di 12, il reale tasso di rendimento, su base media, in dieci anni, è stato superiore al 10% (andando indietro fino al 1926).
  • Se invece hai acquistato l’azionario Usa quando l’indice Shiller PE era superiore a 25 (come in questo momento), il ritorno medio su base reale in 10 anni è stato di appena lo 0,5%.

Da qui, Colas va avanti:

“Possiamo prendere come riferimento questa analisi e andare oltre, guardando a cosa è accaduto l’ultima volta che lo Shiller PE fu vicino a quota 20. Accadde 15 anni fa, ovvero all’inizio del 2002. Cosa è accaduto da allora?

  • Negli ultimi 15 anni lo S&P ha segnato un rialzo +116%, o +5,3% CAGR. Da segnalare che il CAGR, o Compounded Average Growth Rate, è tasso di crescita annuale composto, che rappresenta la crescita percentuale media di una grandezza in un periodo di tempo. Può essere definito anche tasso di accrescimento di media o, anche, media geometrica dei tassi di crescita su base annua)
  • Nel reinvestire i dividendi, quei ritorni sono volati +175% o + 7% CAGR.
  • Sebbene positivo, un ritorno totale del 7% nel corso degli ultimi 15 anni è inferiore al 9,5% CAGR dell’azionario Usa del periodo 1928-2016 o dell’11,5% CAGR dal 1967 al 2016.
  • Da ciò appare dunque che lo Shiller PE ha funzionato nel prevedere i ritorni dal febbraio del 2002 a oggi, visto che essi sono stati inferiori rispetto alle attese.

CLICCA QUI il calcolatore dei ritorni nella storia dello S&P

Dai numeri emerge che, se fosse rimasto posizionato sull’azionario Usa l’ultima volta in cui lo Shiller PE era alto come ora, e se avesse aspettato 15 anni, l’investitore avrebbe più che raddoppiato il suo investimento.

Certo, avrebbe attraversato non pochi momenti difficili, visto che lo S&P era in calo del 22% nel 2002 e del 36,6% nel 2008. Ma è anche vero che negli ultimi 15 anni il 2002 e il 2008 sono stati gli unici anni in rosso per lo S&P500.

Shiller PE, il paragone con valori di ultimi 15 anni

Cosa vuole spiegare anche come si sia arrivati alla misurazione di un tasso di crescita media composto del 7%, partendo da valutazioni dell’azionario Usa relativamente elevate. Ed elenca altri fatti.

  • Negli ultimi 15 anni tre settori hanno riportato rally sconvolgenti: quello dei beni di consumo discrezionali (+197%), dell’healthcare (+172%), dell’energia (+170%). Anche il settore hi-tech ha fatto bene (+142%).
  • Un settore non è andato bene: quello dei finanziari, che è salito solo +10%.
  • Nel corso degli ultimi 15 anni la volatilità, in media, non è stata diversa rispetto agli ultimi 27 anni. In media, il valore giornaliero di chiusura del VIX, dal 2002, è stato di 19,7. Nel lungo termine, la media è pari a 20.
  • Il lettore più accorto potrebbe fare una osservazione, facendo notare i trend di Netflix, Amazon e Priceline, titoli che tecnicamente fanno parte del comparto dei beni di consumo discrezionali, anche se probabilmente sarebbe più corretto definirli società tecnologiche. Il lettore avrebbe ragione. nel fare l’osservazione. Ne emergerebbe che in questi ultimi 15 anni ci sono stati rally di azioni che hanno decisamente outperformato i settori di appartenza: Netflix è approdata nello S&P 500 nel dicembre del 2010 e da allora è volata +411%, guadagnando una capitalizzazione di mercato di $50 miliardi. Amazon è entrato nello S&P nel novembre del 2005, quando il suo prezzo era di $44 e ora vale $845 per azione, con il valore di mercato che dalla sua quotazione è balzato di oltre $350 miliardi. Priceline è stata quotata anch’essa nello S&P alla fine del 2009 ed è in rialzo +697% da allora, con una crescita della capitalizzazione di $75 miliardi.

E’ dunque possibile che la storia si ripeta nel corso dei prossimi 15 anni, visto lo Shiller PE oggi si trova esattamente dove era 15 anni fa?

  • Il pezzo mancante del puzzle è la direzione che prenderanno i tassi di interesse nel corso dei prossimi 15 anni. Nel marzo del 2002, i tassi sui Treasuries a 10 anni erano al 5,42%. Ora sono al 2,31%.
  • L’effetto di quei rendimenti sulle valutazioni è profondo. Prendiamo per esempio una rendita di $100: a un tasso di sconto del 5,42%, vale $1.845 ($100 diviso il tasso). A tassi pari al 2,31%, la rendita vale $4.329, dunque più del doppio, a dimostrazione di come i tassi più bassi contribuiscano molto alla crescita dei prezzi degli asset.
  • L’altro fattore da considerare è la crescita degli utili. Gli utili dello S&P sono stati piatti per tre anni a $117-119 per azione. Se il “Trump trade” avrà avuto un effetto fondamentale sulle aziende Usa, sarà stato quello di interrompere una tale stagnazione. Nel corso degli ultimi 15 anni gli utili dello S&P 500 sono saliti a un tasso composto del 7% su base annua (dai $46 per azione nel 2002 ai $130 per azione attesi per il 2017″).

Conclusioni sullo Shiller PE

E’ vero che dall’esempio riportato dei 15 anni compresi tra il 2002 e il 2017 ci sono motivi di sperare in nuove performance stellari. Ma è vero che in quegli anni lo S&P aveva subito una forte batosta, con una flessione -22% nel 2002, e che il contesto di tassi di interesse eccezionalmente bassi ha indubbiamente aiutato l’azionario.

Secondo Colas, per assistere a un risultato simile nel corso dei prossimi 15 mesi, la crescita degli utili potrebbe essere l’unico fattore a sostegno.