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Zitiello: “Perché lo stop alle retrocessioni è inutile”

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di Luca Zitiello, Managing Partner Zitiello Associati

L’introduzione del divieto di retrocessioni ai consulenti all’ordine del giorno della Commissione Europea sta sollevando un aspro dibattito all’interno della comunità finanziaria in ragione del fortissimo impatto che avrebbe sull’intero processo distributivo e della struttura dei ricavi ad esso connesso. All’interno del panorama comunitario necessita una particolare attenzione la situazione di un paese come l’Italia che ha un costo della distribuzione tra i più alti d’Europa unitamente al fatto che ciò porterebbe plausibilmente con sé l’applicazione dello stesso divieto nel mondo della distribuzione dei prodotti finanziari assicurativi considerato che la recente implementazione di Idd ((Insurance Distribution Directive) ha sostanzialmente equiparato il regime degli incentivi nella distribuzione degli strumenti finanziari a quello degli Ibips (Insurance Based Investment Products).

Nonostante siano più di trent’anni che mi occupo delle tematiche connesse alla prestazione dei servizi di investimento, è forse la prima volta che la discussione su un tema tecnico si fa così appassionata e partecipata, addirittura a volte prendendo le vesti da tifo di curva calcistica.

In casi come questi l’esperienza insegna che, in realtà, vista la rilevante complessità della tematica, occorre partire dalla consapevolezza che non esistono ricette magiche che garantiscano la soluzione perfetta. Ogni scelta porta con sé una serie di effetti collaterali e quindi probabilmente conviene optare per il male minore. E’ vero che l’introduzione del divieto alle retrocessioni come regola generale ed astratta dovrebbe comportare inizialmente un abbassamento del costo dei prodotti, ma questo sarebbe compensato dal costo che il cliente dovrebbe sostenere per assicurarsi il servizio di collocamento e consulenza. E’ evidente infatti che per valutare la possibile soluzione del problema bisogna entrare in una logica integrata di valutazione dei costi legati al prodotto e di quelli connessi al tipo e livello di servizio ricevuto dal cliente. Al riguardo ci sono studi che sostengono che nel lungo periodo la somma dei due costi (prodotto più servizio) potrebbe eguagliare se non superare quello attualmente garantito dal recepimento degli incentivi. A ciò si aggiungono due possibili effetti: quello della potenziale restrizione della gamma di offerta, che soprattutto i distributori appartenenti a grandi gruppi potrebbero porre in essere al fine di recuperare redditività in compensazione della difficoltà di fatturare direttamente al cliente la prestazione dell’attività di consulenza. Vi è poi quello del temuto gap advice. L’introduzione di un radicale divieto di retrocessioni, peraltro già sperimentato in UK e Olanda, porta inesorabilmente con sé un’alternativa per il cliente: pagare la consulenza al distributore o al consulente indipendente, oppure rinunciare a ricevere la consulenza e optare per il fai da te. Ad avvalorare la probabilità dello scenario di rinuncia alla consulenza milita la poca familiarità del cliente a pagare separatamente il servizio di consulenza peraltro ulteriormente dimostrato dal fatto che, nonostante l’albo dei consulenti finanziari indipendenti sia stato istituito da quasi cinque anni, questo tipo di servizio non ha trovato una sua affermazione massiva nel mercato.

Non sempre ha giovato al mercato l’introduzione di divieti generali ed astratti. In questo caso sembra preferibile optare per un più rigoroso rispetto delle regole esistenti, l’affidamento del controllo del rapporto quali-quantitativo tra incentivo ricevuto e livello di servizio offerto sotto un regime di responsabilità rafforzata dell’intermediario, maggiore trasparenza attraverso la standardizzazione dell’informazione ex ante ed ex post al fine di accrescere la consapevolezza dell’investitore, l’effettivo rafforzamento dell’educazione finanziaria dei risparmiatori.