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WALL STREET HA IN SERBO GLI EFFETTI SPECIALI

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(WSI) – L’ indice S&P 500 della Borsa americana raggiungerà quota 1.100 entro la fine del 2009. Un valore che implica un potenziale di rialzo di circa il 26% rispetto alle quotazioni di oggi».
È la previsione, coraggiosa, di David Kostin, strategist azionario per il mercato di Wall Street di Goldman Sachs,
la grande banca d’affari sopravvissuta, insieme a pochissime altre, alla crisi epocale del sistema finanziario americano.

Kostin non nega le difficoltà e l’estrema incertezza del momento. «Non si può escludere, infatti, che nel corso del primo trimestre 2009 l’indice possa tornare temporaneamente sui minimi di 750 punti raggiunti alla fine dello scorso novembre», avverte.

Su quali elementi si basa questo relativo ottimismo?
«Prima di tutto sugli effetti attesi dal piano di rilancio dell’economia, che prevede una spesa di 780 miliardi di dollari. Un intervento che prenderà la forma di una riduzione dell’imposizione fiscale, di uno stimolo alla spesa dei consumatori e che si sostanzierà nell’avvio di investimenti in grandi infrastrutture per un valore di circa 285 miliardi di dollari».

Tuttavia ci vorrà del tempo prima che questi effetti si manifestino…
«In realtà siamo convinti che il ciclo economico abbia già toccato il suo punto più basso nel quarto trimestre del 2008 con una contrazione del Pil di circa il 5%. I prossimi due trimestri saranno ancora negativi, quindi, anche per effetto del piano di rilancio, si manifesterà una debole crescita dell’1% a trimestre nella seconda metà del 2009».

Quale sarà l’impatto della recessione sui profitti delle aziende?
«Il ciclo dei profitti non ha ancora toccato il fondo. Anzi, se si escludono i titoli finanziari gli utili aziendali stanno ancora continuando a salire. Detto questo prevediamo che gli utili delle imprese subiranno un calo del 20% in più rispetto alle stime, già negative, formulate dagli analisti. In pratica, considerando tutte le aziende dell’indice S&P 500 come un’unica grande società i profitti aggregati caleranno da 65 a 53 dollari per azione entro la fine del 2009».

Quali settori saranno parzialmente esenti dalla crisi?
«Gli utili nel corso di quest’anno cresceranno del 4% nel comparto del largo consumo e del 3% nel settore della salute inteso in senso lato: case farmaceutiche, biotech, case di cura. Non a caso abbiamo sovrapesato nettamente questi due comporti, così come abbiamo un leggero sovrappeso anche sui materiali di base e sulle telecomunicazioni».

In pratica, ancora una volta, vincono i settori difensivi…
«In realtà siamo molto attenti anche al tipo di aziende che mettiamo in portafoglio.
Abbiamo per esempio una netta preferenza per i gruppi poco indebitati e con bilanci molto solidi».

Quanto pesa il tema dei dividendi?
«Pesa molto perché siamo convinti che il modo in cui le imprese utilizzeranno i loro flussi di cassa farà la differenza dal punto di vista delle quotazioni di Borsa. In sintesi le aziende che saranno in grado di pagare agli azionisti elevati dividendi avranno un andamento migliore della media di mercato».

Qualche esempio?
«I casi sono numerosi e vanno da Philip Morris nel tabacco, uno yield del 5,2% nel 2009, a Eli Lilly nel farmaceutico (5,7%) a Honeywell nelle tecnologie (4,9%), a Mc Donald’s
(3,5%). Queste società, insieme a molte altre, registreranno nel biennio 2009-2010 una crescita a doppia cifra del dividendo pagato agli azionisti».

Quali altri criteri adottate per selezionare i titoli migliori?
«Preferiamo le aziende che realizzano la maggior parte del loro fatturato negli Stati Uniti rispetto a quelle orientate all’esportazione. Infatti, sebbene i tassi di crescita dell’economia nel 2009 siano più bassi negli Usa che altrove, il deterioramento delle condizioni generali è particolarmente veloce negli altri paesi, a cominciare dall’Europa».

In base a questo criterio quali società hanno il maggior potenziale di Borsa?
«Pensiamo a nomi come
Humana e United Health Group nella salute, Nucor
nei materiali di base, At&T
nelle telecomunicazioni. Tutti gruppi che realizzano dal 90 al 100% del loro giro d’affari negli Stati Uniti».

Nella scelta tra piccole e grandi capitalizzazioni qual è la vostra preferenza?
«Siamo nettamente a favore delle blue chip, che possono accedere più facilmente al credito rispetto alle piccole e che sono meno sensibili alle vendite innescate dalle operazioni di ricopertura degli hedge fund».