Società

VACILLA
LA LEADERSHIP TECNOLOGICA
DEGLI USA

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(WSI) – Quando negli Stati Uniti si parla di Cina, bisogna fare attenzione a non confondersi. Infatti, almeno tre discorsi si intrecciano sull’argomento. Uno ha il tono speranzoso della Cina come mercato di sbocco, e qui siamo nel campo della crescita al ritmo dellE% e delle previsioni per un mantenimento di tale tasso per i prossimi sette anni. Un altro e’ quello ansioso della Cina come opportunita’in tempi di crisi, e allora parliamo di spostare parte della value chain in Cina per abbassare i costi e competere meglio a livello internazionale. Facendo leva sui costi della mano d’opera cinese, le imprese americane procedono al trasferimento di service job a basso valore aggiunto (le Filippine ospitano i call centre, l’India il software development, ecc.).

E’l’ennesima delocalizzazione, che questa volta riguarda non piu’la produzione e relativi servizi ma addirittura le attivita’di software design, ricerca di base, analisi finanziarie. Un altro discorso, infine, riguarda la possibilita’ che avrebbe la Cina di produrre standard tecnologici facendo leva sulle (enormi) dimensioni del mercato interno. In questo caso, la Cina sarebbe in grado di modificare il quadro competitivo nel quale operano le imprese, sia che esse operino direttamente sul mercato cinese o no. Una variante di questo discorso e’ stato recentemente impostato in Italia a proposito della crisi dei nostri distretti industriali. Per quanto i tre discorsi siano tra loro intrecciati, qui approfondiremo soltanto l’ultimo.

In sintesi, il discorso e’ semplice: le imprese tecnologiche americane sono in allarme perche’quelle cinesi sono gia’oggi in grado di creare i nuovi standard per il semplice fatto che possono far leva su un mercato interno piu’grande di quello statunitense. Per esempio, la diffusione della telefonia cellulare in Cina procede al ritmo di cinque milioni di nuovi cellulari al mese, il che fa un totale di circa 60 milioni all’anno (oggi siamo a 350 milioni).

Per cogliere le dimensioni del fenomeno, basta ricordare che gli Stati Uniti sono passati da 16 a 180 milioni di cellulari in dieci anni, dal 1993 al 2003. E le radio frequenze cinesi sono diverse da quelle americane. Non e’ un problema banale: le principali imprese tecnologiche californiane sono a rischio. Intel, per esempio, potrebbe essere definita una manufacturing machine, una macchina di produzione basata sugli standard che ha creato e poi difeso accanitamente, e tale e’ rimasta malgrado tutti gli investimenti in innovazione (la famosa Legge di Moore). Alla Apple ancora oggi si sostiene che il peggior errore compiuto dall’azienda non e’ stato quello di mantenere un sistema proprietario, offrendo cosi’a Microsoft la possibilita’ di costruire con Windows lo standard dei sistemi operativi; ma di aver sottovalutato la capacita’ produttiva di Intel e la potenzialita’che essa aveva, e ha sfruttato, di costruire standard su di essa.

La conclusione del ragionamento e’ che la perdita dello standard dei semiconduttori rappresenterebbe la fine della Intel. Ma non e’soltanto l’industria dei chip ad essere a rischio: in termini di sviluppo tecnologico, oggi la Cina significa innanzitutto il piu’importante mercato di personal computer (il mercato interno statunitense e’ormai il terzo per dimensioni – 27% – superato anche da quello europeo) e workstation, da una parte, e chips per cell phone e piu’in generale wireless, dall’altro.

Questa prospettiva pone alle imprese americane almeno tre problemi. Primo, un problema di orizzonte: Il modello americano prevede da sempre che il livello d’innovazione nazionale sia il paradigma di riferimento e il mercato interno il propellente della crescita. In altre parole, se l’innovazione e’ riconosciuta tale negli Stati Uniti, allora lo e’ di default anche nel resto del mondo; il mercato nazionale e’il mercato principale.

Questa visione insulare del business e’seriamente messa in crisi dalla possibilita’che la Cina diventi la “casa” degli standard. In altre parole, che la Cina non sia tanto la promotrice delle prossime innovazioni, quanto delle prossime innovazioni commerciali, cioe’adottate dal mercato. Il problema non e’semplicemente politico, e’ economico: infatti, la proprieta’ dello standard garantisce ritorni di scala crescenti (infatti, non si tratta soltanto di produrre la stessa cosa ad un costo minore ma di vendere la stessa cosa ad un prezzo maggiore). Secondo, un problema di risorse: l’anno scorso, per la prima volta dopo il 1980, gli investimenti americani in tecnologia sono stati superiori in Cina che in Silicon Valley: 52.7 miliardi di dollari, per la precisione.

L’anno precedente, i miliardi erano stati 47, pari allE0% di tutti gli investimenti stranieri in Asia (per aiutare il confronto, l’India ne ha ricevuti 2.3). Gli investimenti americani sono aumentati di 27 volte tra il 1990 e il 2000. Gli stessi imprenditori cinesi, attirati dalla prospettiva di partecipare alla costruzione del piu’ grande marketplace tecnologico del mondo, si spostano dalla California a Shanghai e con loro spostano risorse finanziarie che fino a qualche anno fa compivano il tragitto inverso. Insomma, investire in Cina e’ piu’allettante che investire in Silicon Valley, anche perche’gli investimenti richiesti sono minori in quanto le start-up cinesi costano meno.

Shanghai si prepara a diventare un centro finanziario di livello mondiale entro il 2010 e gia’oggi la sua City e’otto volte piu’grande di quella di Londra. Terzo, un problema di sicurezza, di interesse nazionale e protezione dell’innovazione tecnologica e dei sistemi di produzione. In questo senso, e’gustosamente europeo lo scollamento che si registra tra imprese e istituzioni americane.

Per esempio, nel tentativo di ingraziarsi le autorita’governative cinesi, Intel sta litigando con le restrizione all’esportazione imposte dal governo americano sulle piattaforme di assemblaggio dei chip; e mentre il governo americano chiede a Intel di esportare la penultima versione, l’azienda risponde che l’ultima versione di chip, la piu’ efficiente, cioe’quella che e’ messa parimenti a disposizione delle imprese americane (e anche quella che arreca maggiori benefici all’azienda). Discorsi analoghi potrebbero essere fatti a proposito di Cisco, Sun Microsystem, Nortel Networking, Yahoo!, Juniper Networks, Ibm, Lucent Technologies e Motorola.

In conclusione, noi potremmo assistere a un trasferimento della costruzione degli standard tecnologici in Asia. Per il momento e’ soltanto una possibilita’ Ma non e’ difficili immaginare che, nel caso diventasse qualcosa di piu’di una possibilita’ la reazione americana sarebbe probabilmente pari o addirittura superiore a quella messa in campo all’inizio degli anni Ottanta, al tempo dell’ascesa dell’economia giapponese. La differenza e’nelle dimensioni: il mercato cinese e’ dieci volte quello giapponese; e anche i mercati di nicchia, in Cina, sono grandi. Il livello di frizione nei rapporti Stati Uniti-Cina e’ probabilmente destinato ad aumentare. Non e’ questione di imperialismo economico congiunturale: per gli Stati Uniti la leadership tecnologica e’ una priorita’ permanente.

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