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VA DOVE TI PORTA
IL DOLLARO

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(WSI) – Al gran ballo delle valute, in questi giorni, prevale una sola nota: quella dei rendimenti. Né potrebbe essere altrimenti, in una situazione così anomala che i depositi a breve in dollari rendono di più dei decennali emessi dal Governo di Roma, Berlino o Tokio. E questa sembra essere l’unica bussola che al momento dà la rotta al mercato dei cambi. Ma quanto durerà? E quando, al contrario, tornerà a farsi sentire il problema dello squilibrio tra gli Stati Uniti e il resto del mondo?

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L’AZIONE DEGLI HEDGE. Per ora i fondamentali non contano, a giudicare dal modesto e breve rimbalzo dell’euro quando giovedì 10 novembre è uscito il nuovo dato record sullo squilibrio della bilancia commerciale Usa. Eppure si trattava «della Fossa delle Marianne dei deficit commerciali», come l’ha definita l’economista Joel Naroff. E che dire dello yen? A parere unanime degli esperti, la divisa nipponica è sottovalutata del 25% rispetto al suo valore intrinseco; ma ciò nondimeno gli ordini di vendita continuano a venire giù come grandine. Gli operatori scaricano la valuta giapponese perché i certificati in yen offrono cedole minuscole, al contrario delle attività finanziarie statunitensi. Secondo Bianco Research, una società di consulenza newyorchese, gli acquisti di obbligazioni americane da parte degli hedge fund con sede legale ai Caraibi hanno subito una nuova impennata: la speculazione prende a prestito il denaro dove costa poco, cioè nella zona euro, in Giappone o in Svizzera per comperare attività in dollari e lucrare la differenza. Secondo Roberto Mialich di Unicredito Banca Mobiliare, anche le assicurazioni giapponesi partecipano al gioco.

LO SCUDO FISCALE DI BUSH. Una causa dell’apprezzamento del biglietto verde è lo scudo fiscale che vuol favorire il rientro dall’estero dei profitti delle corporations. Secondo Michael Woolfolck di Bank of New York, grazie al provvedimento, entro la fine dell’anno si sposteranno sul dollaro circa 200 miliardi oggi in euro, yen e sterline. Ma la chiave di volta del rapporto euro-dollaro rimane tutt’ora la forza dinamica della locomotiva Usa, unita alla stretta monetaria operata dalla Federal Reserve. È questa combinazione che spinge verso l’alto i rendimenti e calamita i capitali esteri. Sicché è qui che va posta l’attenzione.

E LA LOCOMOTIVA USA VA. Cosa accadrà alla congiuntura Usa? Probabilmente, di qui a fine anno, ci sarà un’accelerazione con la prospettiva di rimanere ai massimi livelli anche nel primo semestre del 2006. A dirlo è Bill Dunkelberg, un nome che in Italia dice poco, ma che in patria è ascoltato come un moderno oracolo. Dunkelberg è capo economista dell’associazione delle piccole imprese americane, forse la lobby più influente del paese. A suo giudizio, nel quarto trimestre dell’anno, la crescita viaggerà intorno al 4,5%, in aumento rispetto al 3,8% dei mesi precedenti. «Le piccole imprese sono euforiche – spiega – Si aspettano un boom dei profitti e delle vendite e pianificano nuove assunzioni». Senza dimenticare l’effetto ricostruzione dopo gli uragani Katrina e Rita.

L’ESORDIO DI BERNANKE. Fra qualche settimana, Alan Greenspan, il venerato «Maestro» della Fed passerà lo scettro al successore designato, il professo Ben Bernanke. Le statistiche ci dicono che, con l’eccezione di Arthur Burns negli anni ’70, il nuovo Presidente della Fed si presenta con un rialzo del costo del denaro, quasi a voler affermare il proprio potere e la propria autorità. Lo fece Greenspan nell’87. Lo fece, prima di lui, Paul Volcker. E lo farà, probabilmente, Ben Bernanke. D’altra parte, il mercato dei future dà per scontati altri tre rialzi da 25 basis points entro il giugno del 2006. In questo modo il rendimento dei Fed Funds si spingerebbe al 4,75 per cento. Abbastanza per sostenere il biglietto verde.

TRAGUARDO 1,15. Ma fino a dove può spingersi il rapporto fra euro e dollaro? Secondo Roberto Mialich, di UBM, «il traguardo è 1,15. Se la Banca Centrale Europea stringerà a sua volta le condizioni del credito, allora potrà evitare una scivolata ancora più netta verso 1,10 dollari, che sembra essere invece l’obiettivo naturale indicato dai grafici». Sulla stessa linea è Michael Woolfolck, di Bank of New York, il quale invita però a mantenere una certa dose di cautela: «lo squilibrio dei conti esteri americani rimane in proporzione da incubo e prima o poi chiederà il suo pedaggio».

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