Società

USA, IL RISCHIO
DEL DECLINO

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Si diceva due secoli fa, nell’Ottocento, che le guerre sono le locomotive della Storia. Processi che impiegherebbero decine di anni a maturare, si sviluppano in pochi mesi quando è una guerra ad essere in gioco.

Dall’11 settembre del 2001 in poi, con l’attentato alle due torri e al Pentagono, la guerra in Afghanistan e quella incipiente in Iraq, la Storia ha cominciato a correre. Approfondendo spaccature già evidenti, come quella tra la vecchia Europa e gli Usa. Mostrando tutti i pregi e i difetti di quegli spezzoni di governo sovranazionale dei conflitti che abbiamo costruito. E indicando anche vari sbocchi possibili della crisi attuale.

Uno di questi sbocchi consiste nell’inizio del declino della potenza americana. Sbocco possibile, non scontato né ineluttabile. Ma i cui chiari segni premonitori e simboli possono essere letti, se si vuole, nello svolgimento del socio-dramma di venerdì scorso, nell’aula del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nessuno si aspettava ciò che è accaduto sotto gli occhi del pianeta tra le 10,28 e le 13,30 di venerdì 14 febbraio. Americani ed inglesi erano arrivati all’appuntamento con la vittoria in tasca. Quasi certi di ricevere dal rapporto degli ispettori Onu il via libera alla seconda risoluzione, quella che autorizza l’uso della forza contro l’Iraq. Le diplomazie dei due Paesi erano pronte ad accogliere una certificazione di non-rispetto da parte irachena della risoluzione 1441, ed a presentare questa settimana una risoluzione “di guerra” che non poteva non essere approvata all’ unanimità.

Ma il capo degli ispettori ha sorpreso tutti non pronunciando una condanna senza appello delle menzogne irachene, né manifestando forte insoddisfazione per la collaborazione ricevuta. Al contrario. Blix ha sottolineato come l’Iraq abbia in effetti accresciuto la sua cooperazione. Il capo degli ispettori ha anche affermato che l’Iraq detiene ancora missili la cui portata eccede di poco il limite stabilito dall’Onu, ma il suo team è pronto a distruggerli. La maggiore magagna dell’Iraq al momento consiste nella mancanza di prove sulla distruzione di alcune armi chimiche. Una motivazione in più per proseguire ed approfondire le ispezioni, la cui validità, a questo punto, viene riaffermata in pieno.

E non è finita. Il dott. Hans Blix, al cospetto di Colin Powell e dell’opinione pubblica mondiale, non ha rinunciato all’occasione di togliersi un bel sassolino dalla scarpa. Senza alterare il tono della voce, con il suo inglese neutro, da servizio civile internazionale, ha demolito il castello di elementi presentati da Powell in persona in quella stessa sala la settimana prima. Non ci sono prove, secondo Blix, della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Le foto satellitari esibite non dimostrano nulla.

Lo sconcerto dei presenti nella stanza del Consiglio di Sicurezza, unito alla debolezza delle replica “a braccio” del Segretario di Stato, è un altro elemento della rete di simbolicità di cui parliamo. Non è mai accaduto che un funzionario internazionale, sia pure di alto rango, si sia posto di fronte all’unica superpotenza del pianeta con quella olimpica sicumera, al limite della irrispettosità, mostrata da Blix. Il Segretario Generale dell’Onu, seduto accanto a lui, ha ostentato indifferenza. Ma tutti sanno che mai il cautissimo Kofi Annan oserebbe parlare così ai padroni del mondo.

Il discorso del ministro degli Esteri francese ha rappresentato, dopo la performance di Blix, la seconda grande sorpresa della giornata. Tutti conoscevano la posizione della Francia. Più ispezioni, più tempo, più fiducia all’Onu. Ma nessuno si aspettava il tono e il genere di argomentazioni che si sarebbero ascoltate.

La strategia e tattica franco-tedesche si erano già dispiegate nei giorni precedenti. Mantenere gli ispettori in Iraq più a lungo possibile. Con relazioni al Consiglio di Sicurezza ogni 15 giorni, in modo da arrivare oltre la fine di marzo. E stracciare così il calendario del Pentagono, costringendo infine gli Usa a un compromesso salva-faccia e al ritiro delle truppe. Poi era arrivato il piano “Mirage”, l’iniziativa franco-tedesca di rafforzamento del team agli ordini di Blix e di esecuzione delle ispezioni con un “backing” militare multinazionale in grado di rendere superflue l’invasione e la guerra. Un’idea tardiva, ma di grande efficacia, che una Onu più coraggiosa avrebbe dovuto mettere sul piatto vari mesi addietro, quando era ancora possibile fermare la macchina bellica statunitense. Ma il piano franco-tedesco non è decollato, anche perché Blix ha detto che non sono necessari più ispettori, ma più collaborazione da parte di Saddam.

Il discorso del ministro degli Esteri francese ha colpito per il suo alto profilo, e per le argomentazioni nette e profonde a difesa della posizione di chi, nel mondo, vuole la pace e teme che la guerra all’Iraq sia un rimedio molto peggiore del male. Anche qui traluce una dimensione simbolica. Le circostanze estreme in cui oggi ci troviamo hanno fatto sì che un Paese e un Presidente (Chirac) sicuramente non pacifista, entrati nella crisi irachena con una posizione ambigua e contrattuale, si siano trasformati via via in interpreti della volontà universale. Posizione dalla quale è molto oneroso ritirarsi. E l’applauso irrituale ed inedito (è proibito applaudire a qualsiasi riunione Onu, e nessuno di solito ne ha voglia) che è seguito all’intervento del rappresentante della Francia ha sottolineato l’eccezionalità del momento.

La riunione è andata avanti di sorpresa in sorpresa. Nonostante la Cina sia uno dei 5 membri permanenti con diritto di veto su qualsiasi risoluzione sull’ Iraq, poteva emergere una posizione defilata, anche come effetto delle usuali profferte americane sull’incremento del commercio cinese con l’Occidente. Ma anche Tang Jaxuan ha dichiarato di apprezzare – di nuovo tra gli applausi “illegali” delle delegazioni- l’operato degli ispettori.

Tutte queste novità non appaiono tutte assieme per caso. Esse esprimono una accelerazione dei tempi della Storia, una forzatura indotta dalla minaccia di una guerra imminente. E le immense manifestazioni del 15 febbraio non hanno fatto che confermare, su grande scala, quanto era accaduto il giorno prima all’Onu. Sarà difficile che ciò impedisca la guerra, ma se gli Stati Uniti la faranno andando contro la coscienza universale, la stagione del loro declino arriverà molto tempo prima.

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