Società

UNA GRANDE FRENATA, MA NON E’ RECESSIONE

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Dilaga tanto di quel pessimismo che si son dovute inventare addirittura parole nuove. Se fino a qual che tempo fa per annunciare tempi bui bastava l´espressione «recessione» (magari accompagnata da specificazioni tipo «come quella del ‘29»), di recente si è arrivati a parlare di «meltdown», cioè di crollo totale, di fusione, di collasso dell´economia mondiale.

Altri autori, più misurati, si limitano a dire che nel 2012 (o nel 2015, per i più assennati), cioè fra quattro o sette anni, il petrolio sarà finito, non ce ne sarà più.
Il che equivale a dire che si torna grosso modo all´età della pietra, visto che ancora oggi il petrolio fornisce un terzo abbondante dell´energia che viene usata su questo pianeta e che di fatto non ha alternative per quanto riguarda i trasporti individuali e certe importanti lavorazioni chimiche.

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Sembra di capire, leggendo queste profezie, che il pessimismo ha preso la mano ai suoi stessi autori. Ogni tanto queste ondate autodistruttive partono e poi vanno avanti in modo autonomo. Qualcuno ricorderà quando ci fu il passaggio dell´anno 2000 e si sostenne che i computer di tutto il mondo sarebbero andati il tilt e che sarebbe successo il caos. Le maggiori aziende del mondo organizzarono turni di guardia con personale specializzato per aspettare la mezzanotte fatidica e intervenire.

Alla fine, tutta quella gente si fece una buona birra e andò a dormire, visto che i computer non erano impazziti e che il mondo era andato avanti come prima. Oggi stiamo vivendo dentro una di quelle ondate. Per fortuna, infatti, il petrolio sarà con noi ancora almeno per tutta la durata di questo secolo e forse anche oltre. E l´economia mondiale non sta affatto rischiando il «meltdown».
Quello che sta accadendo è che la congiuntura mondiale (a seguito di varie cause) sta attraversando una fase di rallentamento (nemmeno catastrofico, visto che la crescita complessiva del pianeta sarà comunque del 3,5-4 per cento).

Rallentamento che viene dopo un periodo (2003-2007, cinque anni) in cui il Pil mondiale (cioè la ricchezza prodotta in un anno su questo pianeta) è cresciuta di quasi un terzo. Cosa che spesso si dimentica o si ignora.
Non siamo insomma dentro un «secolo buio», ma dentro un periodo di crescita che non ha uguali nell´arco degli ultimi sessant´anni. E tutto lascia immaginare che, dopo la frenata del 2008, il trend della crescita ripartirà sugli stessi ritmi. Questa crescita fortissima non nasce infatti per caso o per sbaglio. Essa è la diretta conseguenza di una rivoluzione gigantesca.

Fino a qualche decennio fa, nel mondo c´erano appena un miliardo e mezzo di produttori-consumatori: e erano tutti concentrati, grosso modo, nel mondo occidentale. Il resto del mondo campava a stento e era fuori dal circuito economico. Adesso, invece, ci sono altri 3-4 miliardi di persone (Cina, India, Indonesia, Brasile, ecc.) che stanno diventando progressivamente produttori-consumatori. In sostanza, è come se il «mercato» si fosse moltiplicato per tre.

Non credo che questa imponente marcia di alcuni miliardi di persone verrà fermata dalla crisi dei prestiti subprime. Quello è stato un errore grave, e infatti lo stiamo pagando (e non abbiamo ancora finito), ma non penso che quell´errore riuscirà a rimandare indietro 3-4 miliardi di persone all´epoca in cui avevano per cibo solo una ciotola di riso un giorno sì e uno no.
E veniamo al nostro paese. Oggi i grandi centri di previsione assegnano all´Italia una crescita 2008 pari allo 0,6-0,8 per cento. Una stima che è già meglio della recessione. Ma penso che, alla fine, si farà di meglio. La crescita 2008 potrebbe essere anche superiore all´1 per cento.

Perché dico questo? Per due ragioni. La prima è che gli «scenaristi» trascurano che durante i cinque anni di crescita quasi zero del governo Berlusconi, il sistema industriale italiano si è ripulito. Gli incapaci non hanno più trovato alibi o scappatoie e hanno dovuto lasciare il mercato. E quelli rimasti sono i più bravi, i più efficienti, capaci di sorprendere anche gli «scenaristi» più attenti.

Inoltre, l´Italia ha una risorsa a cui poco si pensa, e cioè il Quarto Capitalismo. Che non è una sorta di capitalismo allo stato embrionale, minore, un po´ folcloristico. Si tratta di 4.500 medie aziende molto solide, nelle quali lavora più di un milione di persone e che negli ultimi dieci anni ha aumentato le proprie esportazioni (per citare solo un dato) in media di oltre il 5 per cento all´anno. Al Quarto Capitalismo fa capo (dati 2003) più di un terzo delle esportazioni dell´industria manifatturiera italiana. Queste 4.500 aziende hanno come indotto, un universo di 100 mila aziende al di sotto dei 20 dipendenti, molte volte molto solide e ben attrezzate, con tecnici qualificati, ricerca, innovazione.

Ebbene, questo «sistema nel sistema» non è affatto bloccato, in crisi, rassegnato. Nel 2007 ha avuto risultati straordinari e anche il 2008 è partito molto bene. Lavorano parecchio con l´Europa e con i paesi dell´Est e dell´Asia, e quindi sono in parte al riparo dalla crisi. Insomma, il mondo non sta per finire e l´Italia non è ancora morta. E ci sarà petrolio anche l´anno prossimo. Molto probabilmente costerà anche un po´ meno.

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