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UN PREMIER DA SCOVARE

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(WSI) – Volete l’ultimo esempio del declino italiano? In ordine di tempo è il caso delle tre inflazioni. All’inizio di febbraio, l’Istat, l’istituto centrale di statistica, ci dice che nel mese di gennaio l’inflazione è cresciuta al 2,9 per cento. Passa qualche giorno e sempre l’Istat ci avvisa di un’altra inflazione, calcolata sui prodotti di più largo consumo: è un dato assai più alto e si colloca a un preoccupante 4,8 per cento. Subito dopo scende in campo un altro istituto di ricerca, questa volta privato, l’Eurispes. E annuncia che la vera inflazione ha raggiunto un picco ben più terrorizzante: 8 per cento.

È valido il dato dell’Eurispes? Il Bestiario non lo sa. Ma i primi due dati dovrebbero essere buoni, visto che arrivano dall’Istat. E proprio per questo fanno scalpore. Sul ‘Corriere della sera’, Dario Di Vico scrive del “pasticcio delle due inflazioni”. Definisce la seconda “un’inflazione elettorale”. Racconta che “l’annuncio-bomba” dell’Istat avrebbe preso del tutto alla sprovvista il ministro competente, Pierluigi Bersani. E che lo stesso ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, non ne sapeva nulla. Poi, il lunedì 25 febbraio, è arrivato il dato dell’Eurispes. A quel punto il caos è diventato completo.

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Le conseguenze si sono sentite subito. Nei sindacati è riemersa una voglia prepotente di scala mobile. E il leader della Sinistra Arcobaleno, Fausto Bertinotti, ha preso la palla al balzo. Proponendo una nuova formula per indicizzare salari e stipendi, adeguandoli all’inflazione. Sia pure, ha aggiunto il Parolaio Rosso, alla fine di ogni anno e non di tre mesi in tre mesi.

Tuttavia, anche in questo caso non tutto il peggio vien per nuocere. Il bordello delle tre inflazioni serve a rammentarci una realtà nera che stenta a farsi largo nel vociare della campagna elettorale. La realtà è che l’Italia sta in acque molto pericolose.
Siamo un paese in pesante difficoltà. Dove tutto sembra andare a rotoli e non si vede niente in grado di fermare le tante crisi che ci strozzano.

Su queste crisi ha detto una parola chiara l’economista Mario Monti. Intervistato da Carlo Bastasin della ‘Stampa’, ci ha spiegato che potremmo trovarci presto in “una duplice grave emergenza: nella crescita e nella distribuzione” di quel che siamo in grado di produrre, ossia della ricchezza. Traduzione: “Molti italiani fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese perché l’Italia fa sempre più fatica ad essere competitiva nel mondo”, dal momento che la sua produttività è scarsa.

Monti dice che stiamo assistendo a “un filmato preoccupante”. Ma i competitor elettorali chiudono gli occhi davanti al film. Entrambi i blocchi hanno “un atteggiamento piuttosto rassicurante in materia di politica economica”. Del genere, aggiungo io, tutto va bene, madama la Marchesa! E invece in Italia, spiega Monti nel suo stile felpato, “senza drammatizzare, mi parrebbe appropriato un robusto senso dell’emergenza”.

Emergenza: ecco una parola che fa paura e che i leader politici odiano pronunciare. Nelle tante interviste di questi giorni, ho trovato un cenno alla bufera in arrivo soltanto in un colloquio di Massimo D’Alema con Alberto Orioli del ‘Sole-24 Ore’. Max ha detto: “Stiamo entrando in una situazione economica molto difficile”. Ma subito interrogato sull’eventualità di un governo di larghe intese per superare le difficoltà, si è ritirato nel guscio, spiegando: “Un governo di grande coalizione ha senso per un periodo limitato e per fini definiti. Non può essere una prospettiva per la legislatura”. Che è come dire: l’alcool medicinale serve a curare le ferite e non per un bicchierino tra amici.

La verità a me sembra una sola. Chiunque vinca le elezioni, sarà obbligato a proporre alla parte sconfitta di fare un governo insieme, per non essere travolti tutti dal disastro. Ma temo che la strada da percorrere sarà lunga e dura. Il motivo è uno solo:un governo di salvezza nazionale non potrà essere guidato dai capi dei due blocchi. Ritengo impossibile una soluzione come quella tedesca, dove il leader della Spd, Gerhard Schroeder, lasciò il passo ad Angela Merkel. Ci vorrà un premier sganciato dai partiti. Un personaggio dotato di incontestabile autorità. Molto coraggioso ed energico. In grado di imporre una cura da cavallo a un malato che non vuol saperne di guarire.

Esiste in Italia un Numero Uno siffatto? Non so rispondere. Ma so che può essere scovato soltanto se i due partiti maggiori non avranno paura di incontrarsi in un governo di grande coalizione. In altre parole, tanto il Popolo delle Libertà che il Partito Democratico non dovranno temere di veder nascere un Berlusvalter o un Walteroni, affidato a un premier fuori dalla mischia. E vada al diavolo chi strillerà al super-inciucio!

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