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UN LUNGO GIOCO DELL’OCA CHE PARTE E TORNA A MONZA

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La prima inchiesta sui bond Cirio è partita a Monza e nonostante i fuochi d’artificio dei pm di Roma, rimane la più pericolosa: è lì che l’intero sistema bancario si gioca la propria credibilità.

In realtà le procure che hanno aperto fascicoli sul caso Cirio sono una decina, ma i due epicentri sono proprio Monza e Roma. Nella capitale si cerca di capire in che modo (e con l’aiuto di chi) Sergio Cragnotti ha creato la voragine dei conti, mentre a Monza si sta ricostruendo come l’intero sistema bancario, una volta capito che la situazione era ormai compromessa, sia riuscito a scaricare il “rischio” di default – ma secondo gli investigatori si dovrebbe parlare di «certezza» sin dal 2000 – sui risparmiatori.

E non è un caso che la linea difensiva di Cragnotti punti a riunire le due inchieste in un’unica sede: a Roma è il principale imputato a Monza invece, è stato ascoltato prima come persona informata e solo successivamente iscritto al registro degli indagati. E’ possibile dunque che le responsabilità di Cragnotti finiscano per essere soverchiate dalle responsabilità di chi ha colpito coscientemente i propri clienti, senza contare che la battaglia politica scatenata dall’avviso di garanzia a Cesare Geronzi rischia di creare ulteriore pressioni sulle indagini.

A Monza invece, si procede con qualche clamore in meno. La tesi accusatoria può essere grosso modo sintetizzata così: Cragnotti ha creato un danno alle banche, ma queste hanno assecondato la scriteriata emissione di bond senza rating al solo scopo di rientrare dei crediti vantati. E consapevolmente hanno venduto titoli ai singoli risparmiatori. Una prima conferma di questa di questa impostazione arriva dalla relazione dei commissari giudiziali consegnata in settembre al tribunale di Roma in cui si legge: «Le cause dell’insolvenza vanno individuate in un momento precedente che il prestito obbligazionario ha solamente permesso di rinviare momentaneamente».

Sette sono le emissioni delle varie finanziarie Cirio rimaste non rimborsate, ma se le prime due, nel 2000, realizzate in collaborazione con le JP Morgan, Banca di Roma e Ubm (Unicredit) erano funzionali all’acquisto della Del Monte e la contemporanea vendita di Del Monte Pacific e Bombril, le altre cinque si sono susseguite, sempre più frenetiche senza che vi fossero altre operazioni industriali da realizzare.

Tutta la liquidità negli ultimi tre anni di cui ha potuto disporre Cirio è arrivata esclusivamente dai bond ed è servita puntualmente a ripagare debiti in scadenza nei confronti di molte banche. Il pm monzese Walter Mapelli ha chiesto i documenti alla Popolare di Lodi, Antonveneta, Sanpaolo Imi, Credem, Gruppo Intesa, Montepaschi di Siena, alla Popolare di Milano e alla Popolare di Novara. E le indiscrezioni (alcune confermate) sui nomi dei responsabili effettivamente indagati coprono un bel ventaglio d’istituti. Difficile non assecondare il sospetto che tutte le banche non si siano mosse in accordo.

Sempre da Monza una ricostruzione sull’andamento dei crediti verso Cirio è stata sorprendentemente sincrona per i 66 istituti coinvolti: Banca di Roma (oggi gruppo Capitalia) nel 1999 era esposta per 281,6 milioni di euro, nel 2002, 79,1 milioni. Stesso movimento per Bnl: dai 103,8 milioni di euro del 2000, si arriva ai 13,4 milioni (ai quali vanno aggiunti i 50,8 di Bnl Credito Industriale) del 2002. In totale si è passati dai 565,1 milioni del 1999 ai 304 milioni del 2002. Mentre i bond in mano ai risparmiatori valevano 1.125 milioni di euro.

E ai movimenti macroscopici si aggiungono singoli episodi abbastanza esplicativi come quello di Antonveneta che, mentre decideva di rientrare dai fidi concessi alla Cirio perché era diventato un cliente troppo rischioso, collocava allo sportello i titoli di debito della stessa società. Dimostrando che o i suoi clienti erano molto più coraggiosi dell’istituto; oppure non erano stati correttamente informati sul livello di pericolosità dell’investimento.

«Punire i singoli e gli istituti colpevoli, ma non generalizzare su tutto il sistema bancario», questa è stata la posizione della Banca d’Italia e dell’Abi. Ma quanto deve essere ampio lo spettro degli istituti coinvolti prima di poter generalizzare? Un interrogativo a cui la procura di Monza vuole dare una risposta.

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