L’euro, la valuta unica europea, sta attraversando una fase di forte crisi. La pianificazione della sua introduzione ha inizio, concettualmente, con il Trattato di Maastricht, con il quale venivano accettati a far parte della eurozona i paesi che presentavano un deficit del PIL inferiore al 3%, un tasso di inflazione non superiore agli 1,5 punti rispetto alla media degli altri paesi europei aderenti alla moneta, un rapporto fra debito pubblico e PIL inferiore al 60% , l’aver aderito da minimo due anni al sistema monetario europeo nonché un tasso di interesse a lungo termine che non superasse un tetto stabilito in base a un benchmark fissato basandosi sui paesi con i tassi più contenuti.
Il 1° gennaio del 1999 l’euro entra formalmente in circolazione in undici paesi, fra quali figura anche l’Italia, accettata nell’eurozona benché presentasse un rapporto debito pubblico/PIL superiore rispetto al limite fissato. Dal 2001 al 2015 altri nove paesi hanno adottato la valuta unica europea, l’ultimo Paese ad unirsi è stato la Lituania. Dalle stime emerge che una popolazione di oltre 480 milioni di persone utilizza quotidianamente l’euro come moneta di scambio. L’amministrazione dell’euro è deputata alla Banca Centrale Europea (BCE) diretta attualmente da Mario Draghi e avente sede a Francoforte sul Meno.
La crisi dell’euro ha origine dalla crisi mondiale che ha investito le economie su scala planetaria a partire dal 2007, sviluppatasi dal crollo del mercato immobiliare statunitense.
Il declino economico-finanziario globale è il responsabile dell’aumento repentino del debito sovrano contratto dalle nazioni europee.
Attualmente nei Paesi europei il rapporto debito/PIL sfiora il 100%: si tratta del valore più alto mai raggiunto dopo il secondo conflitto mondiale. Nonostante le misure di austerity introdotte per limitare il fenomeno, questo continua a presentare livelli ancora all’interno della zona di rischio.