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TREMONTI, VEDIAMO ADESSO COSA SA VERAMENTE FARE

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Giulio Tremonti torna alla guida del ministero dell’Economia dopo appena due anni e sulla scia di un best seller in cui critica globalizzazione selvaggia e tecnofinanza, sollecita misure neoprotezioniste, e rilancia il ruolo dello Stato contro il “mercatismo”.

Classe 1947, esperto di diritto finanziario e una lunga militanza socialista alle spalle, Tremonti ritrova in via XX settembre il Moloch del terzo debito più grande del mondo, e un’economia quasi ferma: +0,3% le stime per quest’anno del Fondo monetario internazionale. Il sistema previdenziale, dopo le modifiche introdotte dal centrosinistra, è oggi più generoso di quello lasciato, la pressione fiscale è vicina ai livelli record (43,3% del Pil nel 2007) e la crisi di Alitalia è ancora all’ordine del giorno.

Il debito, però, che sotto il centrodestra era tornato a salire nei confronti del Pil per la prima volta dopo un decennio, ha ripreso a scendere (104% nel 2007 da 106,5% nel 2006) e l’Italia è uscita dalla procedura Ue per deficit eccessivo avviata da Bruxelles sotto il regno di Tremonti: il deficit si è fermato nel 2007 all’1,9% contro il 3,4% nel 2006. Inoltre la crisi innescata dai mutui subprime americani ha toccato finora solo marginalmente il sistema bancario italiano.

Anche questa volta, come tra il 2001 e il 2004 e poi tra il settembre 2005 e il maggio 2006, Silvio Berlusconi chiede a Tremonti ministro, come obiettivo prioritario, la riduzione della pressione fiscale. La prima imposta da abbattere è già stata individuata in quella comunale sugli immobili per la prima casa che vale circa 2 miliardi di euro.

Il commissario Ue per gli Affari monetari, Joaquin Almunia, chiederà, invece, a Tremonti di non consentire che il calo delle tasse comprometta il percorso virtuoso dei conti pubblici in un Paese che da anni cresce molto meno degli altri partner europei perché ritenuto poco aperto alla concorrenza e con tassi di produttività in forte declino.

Tremonti, da parte sua, sembra intenzionato a lasciare che sia Berlusconi a fissare tattica e strategia su Alitalia (controllata al 49,9% dal Tesoro), per il cui salvataggio in chiave nazionale il Cavaliere si è impegnato personalmente. Nel suo ultimo libro “La Paura e la Speranza”, il ministro ha più volte ripetuto il concetto “il mercato quando possibile, lo Stato quando necessario” ma in campagna elettorale si è sempre guardato dall’esprimere giudizi sull’offerta presentata e poi ritirata da Air France per Alitalia che il precedente governo considerava l’ultima spiaggia per la compagnia in crisi.

In ambito Ue ci si aspetta che il neo ministro porti avanti le proposte già messe nero su bianco nella seconda parte del suo saggio: maggiori poteri decisionali per l’europarlamento, l’emissione di eurobond per finanziare asset strategici, l’esclusione dal calcolo del 3% di deficit di tutte le spese destinate alla famiglia, dazi su prodotti importati dai paesi che non rispettano standard internazionali sui diritti dei lavoratori e il rispetto dell’ambiente. Il confronto più atteso è, comunque, quello con le banche e il loro supervisore, la Banca d’Italia.

Dopo aver ingaggiato uno scontro mortale con il precedente governatore Antonio Fazio, accusato di occultare le malefatte dei banchieri italiani nei crack finanziari di Cirio e Parmalat e di difenderli in modo illecito dalle offerte di acquisto straniere, Tremonti fu costretto a lasciare il ministero a Domenico Siniscalco il 3 luglio 2004. Ritornò in carica nel settembre 2005, in tempo per assistere, nel dicembre dello stesso anno, alle dimissioni del numero uno di Bankitalia travolto dalle indagini giudiziarie. Tremonti ha già avuto modo di definire “un’aspirina” il corposo dossier di raccomandazíoni messo a punto del Financial stability forum coordinato dal governatore Mario Draghi per far fronte alla crisi di liquidità che ha colpito i mercati dalla scorsa estate e ha criticato la mancanza di riflessioni sul ruolo dello Stato nel salvataggio degli istituti creditizi come avvenuto in Gran Bretagna per Northern Rock.

La sua opinione è che si sia lasciata correre l’ingegneria finanziaria a livelli tali da rendere ormai impossibile capire il valore di alcuni prodotti e voci di bilancio. Per questo quelle dell’Fsf sono “soluzioni vecchie per problemi nuovi”. Per i cittadini italiani sarà cruciale la capacità-volontà riformatrice del governo di cui Tremonti fa parte.

L’economista Francesco Giavazzi, sulle pagine del Corriere della sera, ha scritto recentemente che con la vittoria del centrodestra gli elettori, soprattutto quelli meno istruiti, hanno voluto premiare “chi promette loro protezione dal vento della concorrenza”. Ma l’alternativa al mercato e al merito rischia di essere, per Giavazzi, una società congelata: ingiusta perché tramanda i privilegi di generazione in generazione e destinata a deperire perché spreca le sue migliori risorse. (Reuters)