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TREMONTI: «L’AZIONE DEI GOVERNI HA FERMATO GLI SPECULATORI»

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(WSI) – «Agosto è un mese speciale, in cui con frequenza storica si accumulano ed esplodono le crisi. L’anno scorso la crisi, non ancora terminata, finanziaria. Quest’anno la guerra per l’Ossezia, sulla faglia del confine tra Est e Ovest. Ovviamente ogni crisi ha la sua propria origine e quella di quest’anno è esplosa, e non per caso, nel pieno delle Olimpiadi, nel vuoto della presidenza Usa».

E’ per questo, ministro Tremonti, che l’iniziativa è stata presa dal presidente francese Nicholas Sarkozy?

«Ha ragione l’ambasciatore Sergio Romano nel dire che “stavolta l’Europa c’è”. Per troppo tempo l’Europa più che realpolitik ha fatto metapolitik: ha spiegato troppo il dover essere, si è troppo poco calata nell’essere. C’è anche un ruolo italiano: quando mai finora l’Italia era stata parte attiva in un gioco così complesso, dove c’è un’equa ripartizione dei torti e delle ragioni, entrambi bilaterali?».

Lei sostiene le ragioni della Russia nel conflitto?

«Il cuore non sta mai dalla parte dei carri armati, ma dalla parte dei popoli. E tuttavia la politica è una cosa che deve andare oltre. La caduta del muro di Berlino ha prodotto il ritiro della Russia dai paesi satelliti di Yalta, compensata da un conservativo “droit de regard” sui territori che della Russia costituivano l’antica base geografica. Un’area di influenza non sempre pacifica, ma reale: il punto è che la Russia, pur molto esposta a favore dell’Occidente dopo l’11 settembre, ha sentito quel diritto progressivamente sfidato dal doppio allargamento della Nato e dell’Europa. La Russia ha un’identità storica propria, non è, né sarà mai, un Paese dell’allargamento, è qualcosa di diverso, è il ponte tra l’Occidente e l’Oriente: il doppio allargamento la mette in bilico tra stabilità e instabilità. E il dominio sulle vie meridionali del petrolio ha una rilevanza, in fondo, parziale. In gioco c’è l’essenza politica stessa della Russia come potenza».

Come potenza imperialista?

«La storia della Russia è una storia imperiale. All’impero dello zar ha fatto seguito il social-imperialismo dell’Urss e ora la Russia, tornata Russia, prosegue con altri mezzi, con il gas e con il petrolio, la sua eterna politica. Vuole una previsione? Petrolio per petrolio, il quadrante strategico dell’impero si sposterà da Sud verso i fondali marini e i ghiacci in scioglimento del Nord. La storia prosegue, l’avventura umana è ancora imperfetta e la pace è ancora “in experimentum”».

Le tesi di Benedetto XVI, che lei ha incontrato pochi giorni fa.

«Come sempre, nei grandi passaggi della storia, la visione della Chiesa è fondamentale per la comprensione dell’esistente».

A luglio il Papa ha condannato la speculazione…

«L’aspetto orrendo della speculazione è sul grano, sul mais, sugli alimenti. Anche sul petrolio. Nel giro di sei mesi il prezzo è salito vertiginosamente e poi precipitato. E’ la prova che dietro c’era la speculazione. Da un lato questa ha divorato se stessa, causando recessione, dall’altro ha subito i colpi dell’azione forte di molti governi».

Come e quando finirà la crisi Usa?

«Nell’agosto 2007 è finita la “grande illusione” dell’economia che genera sviluppo perpetuo e, con questo, la pace perpetua. La scienza economica non è solo “triste”, è anche falsa, se non si sviluppa nelle incertezze tipiche delle scienze sociali e pretende di modellare la realtà in formule matematiche. E’ difficile dire se la crisi viene rinviata a dopo le elezioni o se sarà risolta dalle elezioni. In ogni caso incombe il rischio di trasmissione del suo effetto dai mercati finanziaria alle pensioni. Se per questa via la crisi esce dal controllo monetario, è fatale che emerga a protezione dei più deboli la figura storica ricorrente del “giudice vindice”. Un segnale: l’autorità giudiziaria ha appena costretto due grandi banche a ricomprarsi enormi stock di titoli collocati senza scrupoli. E’ la fine, oppure il principio di un meccanismo non più controllato e controllabile solo dall’autorità monetaria?».

Si riferisce anche all’Europa?

«In Europa la situazione è meno squilibrata è più governata. Quanto all’Italia, alla fine della crisi saremo più forti di prima e più forti di altri Paesi che ci stanno superando in retromarcia. Il Pil di molti Paesi è fatto più dalla finanza che dalla manifattura e risentirà più negativamente del nostro della caduta dei valori finanziari. Il sistema bancario e assicurativo italiano è solido, le pensioni sono sicure, le famiglie poco indebitate e l’industria, esclusi i settori delle privatizzazioni sbagliate con gli spezzatini e i nocciolini, si è ristrutturata e compete con forza».

Il nostro punto debole, allora, restano i conti pubblici.

«Ed è proprio questa la ragione di una finanziaria sostanzialmente anticipata prima dell’estate e proiettata su tre anni. Immagini che cosa sarebbe stato entrare nell’autunno “a saldi aperti”, con il caos tipico della finanziaria italiana. L’interesse repubblicano è stato ed è quello di mettere in sicurezza i conti e, dentro questi, il risparmio delle famiglie».

Per la sinistra è essenziale salvaguardare il potere d’acquisto.

«E’ più importante il potere d’acquisto o il posto di lavoro? La questione dei prezzi è drammatica dappertutto in Europa, ma la stabilizzazione del sistema è strategica. Questa è la scelta finora dominante in Europa. Una scelta di sicurezza e non di rischio, di lungo e non di breve periodo. Che piaccia o no, non abbiamo alternative: la politica o è europea o non è. Nessuno fa politiche diverse dalla nostra e se ci saranno politiche diverse saranno benvenute, ma sempre concordate. Non le politiche deficiste con coperture mitiche come i tesoretti o giornalistiche, come quelle che fa la sinistra senza indicare dove e come, per quanto, su chi e su cosa, intervenire. Parlano di interventi “selettivi”, ci diano almeno il libretto delle istruzioni.

E sulla manovra la storia si è chiusa con la fiducia…

«E’ vero, ma è vero che prima non c’è stato un emendamento, uno, credibile in termini finanziari. L’unico lo ha presentato Enrico Morando al Senato, ma anche questo senza le istruzioni per l’uso».

Parlava dell’autunno. Cosa si aspetta dall’opposizione?

«Quello che ci preoccupa della sinistra non è la sua forza, ma la sua debolezza. C’è una parte responsabile e realista, e una che replica sempre lo stesso software. Con lo stesso zelo con cui prima diceva che tutto il bene era nell’Urss, adesso dice che tutto il male è nel governo di Silvio Berlusconi. Il governo vara un piano casa? E’ un regalo ai costruttori. Il governo tassa i petrolieri? E’ un danno ai consumatori. Sarà giusto o sbagliato, ma è l’opposto di quel che dice Obama, il loro nuovo idolo politico».

La commissione Attali in Francia, il ruolo di Giuliano Amato nella consulta per Roma, dimostrano che c’è terreno per coltivare esperienze bipartisan.

«Ed è la via giusta. Il confronto con personalità e idee diverse è fondamentale. E’ la ragione per cui al ministero dell’Economia sentiamo i consigli di Martin Feldstein, Jacob Frankel, Jean-Paul Fitoussi, Alberto Quadrio Curzio. Non sempre hanno le nostre idee, ma è sempre bene sentire le loro. A settembre partirà l’esperimento di una discussione nella forma dell’”economia sociale di mercato”».

A settembre partirà anche la stagione delle riforme.

«Sul federalismo fiscale la nostra Commissione Attali è la Camera dei Deputati, che sotto la presidenza di Gianfranco Fini si aprirà anche alle regioni, ai comuni, alla società e alla cultura. La voce della sinistra non è solo quella dei partiti centrali, ma anche quella dei governi locali e la tradizione amministrativa della sinistra è storicamente fortissima».

Meglio discutere con i governi locali che con la segreteria del Pd?

«A vario titolo, in varie forme, e da tempo, parlo con Chiamparino ed Errani, ma anche con D’Alema e Veltroni. Il problema, tuttavia, non è che io parli con loro o loro con me, ma che venga fuori una discussione più generale e corale».

Il federalismo fiscale non è legge costituzionale, in Parlamento non serve la maggioranza qualificata.

«Non lo è formalmente, ma sostanzialmente è una legge costituzionale, perché presupposta dalla Costituzione. Manca da sette anni: non è solo una lacuna, è un obbligo. Non farla, produce un vulnus costituzionale. E’ una legge di bilancio e per questo, per Costituzione, non oggetto possibile di un referendum. Potrebbe essere fatta anche a colpi di maggioranza, ma non è la via giusta, quella è solo l’extrema ratio».

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