Società

TERRORISMO: DEBOLI GIUDICI,
007 E POLITICA

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(WSI) – «Purtroppo la caratteristica principale dei terroristi
è di fare quello che promettono». È dura,
sentirla mettere in questi termini. Del resto, da almeno
tre lustri a questa parte la cifra comunicativa
di Francesco Cossiga non è certo la dissimulazione.
Né il seguito del suo ragionamento è meno
perturbante: «Noi – dice Cossiga al Riformista –
non siamo gli Stati Uniti, e nemmeno il Regno
Unito. Siamo un paese debole, disarticolato.
Siamo politicamente, moralmente, organizzativamente
impreparati ad affrontare
questa minaccia terroristica».

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Siccome
sulla debolezza della politica e della
morale siamo mediamente ben informati,
è dal deficit dell’organizzazione
che chiediamo al presidente
di cominciare il suo ragionamento.
Spiega Cossiga:
«Non abbiamo piani operativi
di difesa civile (difesa, non
protezione!). Non abbiamo
strumenti giuridici di lotta al
terrorismo. Non abbiamo
piani di gestione dell’informazione
pubblica in caso di
emergenza. Si chieda cosa direste voi giornalisti
se succedesse quello che è accaduto in Gran Bretagna,
e cioè i giornalisti presi a calci in culo e allontanati
con la forza dai luoghi delle esplosioni.
Ma il problema principale è lo sbando della magistratura
inquirente. Prenda il caso di Abu
Omar: lo scandalo non è tanto la violazione territoriale
operata dalla Cia, che pure è fatto gravissimo,
ma il fatto che sia stato rapito un personaggio
che era sotto stretto controllo della Digos e
che la Procura si sia ricordata di
chiederne il fermo cautelare solo
dopo il sequestro».

La magistratura
applica la legge. «Invece
io invito all’illegalità. Mi spiego.
Non v’è dubbio che in questo
momento a passeggio per
una strada di Roma ci sia qualcuno
degli ideatori e o degli attentatori
della strage di Londra.
Per individuarlo bisognerebbe
scavare nell’immigrazione illegale
e clandestina, ma se si va a
indagare in quella direzione ci si
scontra con le grida d’allarme
dei misericordiosi, che pongono
il problema umanitario degli
immigrati clandestini, e con l’inadeguatezza
degli strumenti».
Messa così, sembra facile finire
dalle parti di qualcosa che, di solito,
si chiama legislazione emergenziale.
«E invece no – ribatte
Cossiga – capisco che accusare
gli Stati Uniti di aver adottato
contro il terrorismo misure antidemocratiche
è facile, anche
perché Guantanamo e il Patricot
Act non sono cose degne di
una grande tradizione liberale,
ma qualcuno mi deve spiegare
perché l’Italia non può seguire
l’esempio della patria del socialismo
continentale, già culla del
liberalismo e del sindacalismo, l’Inghilterra di Tony Blair, e adottare il Terrorism
Act, che permette di utilizzare in fase di indagini,
ma non di processo, le intercettazioni telefoniche
e ambientali e di fermare una persona sospetta
anche per un mese. Da noi non si può. Ecco il mio
appello all’illegalità: per il nostro bene, seminiamo
gli ambienti di indagine di microspie e microcamere,
perché se aspettiamo che dal terrorismo
ci difenda uno dei nostri gip i terroristi
riusciranno laddove ha fallito l’usura
del tempo, e ci vedremo crollare addosso
la torre di Pisa».

E l’intelligence? Non
possono salvarci i servizi? Le forze di
polizia? Cossiga non ci spera più che
nella magistratura: «Il Cocer –
dice – è in guerra col Dipartimento
di pubblica sicurezza.
Per la vicenda del sequestro
a Milano di Abu Omar la
Digos ha messo sotto accusa
non solo la Cia ma anche il
Sismi. Tra Sismi e Sisde non
c’è collaborazione e la
riforma dei servizi non si
riesce a fare. Pisanu e la presidenza
del Consiglio sono per l’unificazione del
servizio civile e di quello militare, come richiede
una fase come quella attuale in cui dati dall’esterno
e quelli dell’interno devono confluire ed essere
elaborati da un’unica centrale. Ma il ministero
della Difesa e le autorità militari si oppongono,
forse perché considerano strategico continuare a
cercare di sapere di più sulle cannoniere della
Corea del Nord o sul modello di mitragliette dei
reparti d’assalto della Mongolia esterna. Le racconto
questa: il capo di Stato
maggiore della Difesa ha messo
il veto alla promozione a vicedirettore
del Sisde di un brillante
ufficiale dei carabinieri, perché
evidentemente per lui carabinieri
e poliziotti non sono bravi
militari. E infatti lo sanno tutti
che Calipari (poliziotto, ndr)
veniva da una scuola ufficiali
dello Stato maggiore. In quel
ruolo il nostro capo di Stato
maggiore della Difesa vuole un
ammiraglio. Se la sua proposta
è Nelson, o Wellington, sono
d’accordo con lui».

Per giunta, sostiene Cossiga,
alla debolezza strutturale del
nostro paese si oppone la brillantezza
della mente terroristica:
«Non hanno solo inserito l’Italia
nella lista dei prossimi
obiettivi da colpire. Hanno fatto
di più, una sublime operazione
politica, di rara finezza: hanno
indicato un obiettivo specifico
nella persona di Silvio Berlusconi,
ben sapendo che, mentre è
possibile raggiungere un certo
grado di unità del paese nel respingere
una minaccia diretta contro l’Italia, non altrettanto si
può dire di una minaccia rivolta
al presidente del Consiglio».

Stai a vedere che dopo Renato
Curcio, l’ex capo dello Stato è
pronto a trovare un degno posto
nella storia delle idee anche a Bin
Laden. E Cossiga: «Se la storia sarà
obiettiva – e non credo che lo sia, se
è vero come è vero che per aver
esaltato quello che io considero
uno dei più grandi uomini di Stato
del XX secolo, Joseph Stalin, uno
storico ex sovietico mi ha definito
uno “stalinista di destra” – ma se ci
sarà obiettività, Bin Laden passerà
alla storia come un nuovo
Gengis Khan, cioè un grande capo
ideologico e politico». Ed è in
sostanza sulla base di questa “ammirazione”
per la lucidità tattica e
strategica che Cossiga si sente di
escludere Roma dall’elenco delle
città a rischio: «Io credo che in
Italia gli obiettivi siano o i centri
del potere economico e finanziario,
quindi Milano, o città simbolo
della cultura occidentale. Ma non
Roma. A Roma c’è la Santa Sede,
che è l’unico schermo che ha impedito
che la guerra scoppiata dopo
l’attentato alle Due Torri diventasse
guerra del mondo giudeo-
cristiano contro l’Islam. Per
questo non credo che il terrorismo
metterà piede a Roma».

Detto della carenza organizzativa,
denunciato lo scrupolo umanitario
e legalitario, resta il nodo della
politica: «Demagogia umanitaria
– sintetizza Cossiga – questo è
tutto ciò che la nostra classe politica
è in grado di offrire. Essere solidali
con gli Usa o col Regno Unito
non costa nulla. Andare in processione
dall’ambasciatore inglese come
ha fatto Romano Prodi non costa
nulla. Anch’io ho mandato un
messaggio alla Regina e al primo
ministro e che mi è costato? Una email
dell’ambasciata. Altro sarebbe
un piano comune per fronteggiare
l’emergenza. Ma siamo in
campagna elettorale. Troppo forte
sarà la tentazione della maggioranza
di accusare di complicità comunisti
e terroristi, e troppo forte sarà
quella dell’opposizione di addossare
colpe e responsabilità al governo.

L’Unione non può trascurare di
reggersi anche grazie al contributo
di una sinistra radicale e antiamericana
che ha al suo interno no global
e disobbedienti. E la Margherita
è stata così ridimensionata nella
sua istanza autonomista che non
credo che Rutelli possa andare
avanti da solo in questa battaglia.
Insomma, non so a chi appellarmi.
Anzi, un appello ce l’ho. Posso farlo?». Prego. «Chi crede, preghi e si
affidi alla provvidenza. Chi non
crede faccia atto di fede e si affidi
allo stellone dell’Italia».

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