Quando eravamo bambini, ci scambiavamo figurine di calciatori. Il ritornello del mercanteggiamento, che accompagnava lo sfoglio rapido della merce, era «ce l’ho, ce l’ho, mi manca». La stessa litania potrebbero cantarla oggi
i giornali e i politici che si combattono a colpi di editoriali, commenti e semplici pezzi di cronaca pubblicati sulla stampa estera. Se da destra squilla una tromba (ma l’hai letto il Wall Street Journal?), da sinistra rintoccano le campane (e tu l’hai visto il Financial Times?).
L’Economist, dal canto suo, è sempre in grande spolvero, tanto autorevole per antonomasia che lo
ripubblicano tutti, chi lo festeggia e chi non lo digerisce (a proposito, ritirare la querela per diffamazione gioverebbe al primo ministro, e di
conseguenza, all’immagine dell’Italia).
Ci sono anche casi contraddittori: il Financial Times, per esempio, è piaciuto a sinistra per un commento anonimo ospitato nella pagina di sinistra, e a destra per un commento firmato nella pagina di destra. Il pezzo più pregiato sarebbe un El Mundo che attacca Berlusconi per la sinistra, o un Guardian che lo difende per la destra. Al momento, mi manca.
Nell’esegesi ed arruolamento della stampa estera vengono ignorati alcuni elementi di fondo. Per esempio: ogni giornale ha una linea; ogni giornale
ospita articoli lievemente dissenzienti dalla sua linea; ogni giornale estero ha un pregiudizio anti-italiano; ogni giornale ha corrispondenti con forti opinioni politiche; ogni editorialista si alza col piede sbagliato qualche mattina; ogni commentatore può aver digerito male la cena della sera prima; e tutti cercano di vendere copie. Roba da non crederci, ma è proprio come in
Italia.
Ascoltare l’opinione della stampa estera è sempre un bene: viviamo tutti in Europa, e non è male sapere che cosa pensano di noi là fuori. Inchinarsi al loro giudizio è invece improvvido. Loro non lo fanno con noi, noi non dovremmo farlo con loro.
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