Società

STIAMO CONSUMANDO LA NOSTRA RICCHEZZA

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L’economia è in crisi e a Washington si sta svolgendo un grande dibattito su come risolvere la situazione. La questione più importante è cercare di capire come il governo possa riuscire a curare l’economia. In questa discussione tuttavia si trascura il fatto che i problemi attuali sono stati causati dal governo stesso. Stiamo chiedendo, cioè, alle medesime istituzioni che in questo paese hanno creato la bubble e che hanno cambiato il modo di spendere e investire, di risolvere i problemi da esse stesse creati. La dottrina fondamentale del pensiero economico americano è costituita dall’interventismo, dalla ridistribuzione di ricchezza e dai consumi. Questa dottrina nacque durante la Grande Depressione quando sia le cause e che gli effetti della depressione furono travisati. La gigantesca bolla del credito e della moneta che portò alla Grande Depressione, venne male interpretata. Quella che iniziò come una correzione di mercato venne trasformata in un pesantissimo mercato bear e in una profonda depressione economica.

Quando nell’ottobre del 1929 i mercati crollarono, l’economia vacillò. L’anno seguente il mercato sembrava sulla strada della ripresa, tuttavia, l’amministrazione Hoover cominciò ad effettuare una serie di interventi. Inizialmente l’amministrazione tagliò le tasse e aumentò le spese pubbliche. Quindi cambiò politica rialzando le tasse e introducendo nuovi programmi di spesa pubblica. L’amministrazione Hoover creò la piattaforma e i programmi di spesa che in seguito divennero il New Deal. Roosevelt si candidò contro Hoover presentando nuovi massicci programmi di spesa. Dopo avere vinto le elezioni, l’amministrazione Roosevelt proseguì le politiche di Hoover e innalzò il livello di intervento economico. Anziché lasciare scendere i prezzi ad un livello in grado di riportare l’economia in equilibrio e in grado di eliminare l’eccedenza di cattivi investimenti, l’amministrazione cercò di intervenire per evitare che il processo di liquidazione si realizzasse. Vennero realizzati vari programmi relativi alla tassazione e programmi di sostegno dei prezzi, di spesa e di ridistribuzione della ricchezza. Questi programmi non fecero altro che allungare i tempi della depressione che finirono con l’intensificarne la gravità. Fu solo grazie alla guerra che gli USA riuscirono a superare la depressione e a correggere il tasso di disoccupazione giunto al 25%.

La Filosofia di un uomo divenne la spina dorsale di una nuova era

Il fondamento logico di queste politiche ricevette un input filosofico dalla General Theory of Unemployment, Interest and Money di John Maynard Keynes. Questo libro è considerato uno dei più influenti trattati di scienze sociali del ventesimo secolo. Esso cambiò, rapidamente e permanentemente, sia il modo con cui il mondo guardava l’economia che il ruolo del governo nella società. Keynes criticò l’economia del laissez-faire e i liberi mercati. Al loro posto Keynes sostenne sia il ricorso ai lavori pubblici per ridurre la disoccupazione che il ricorso ai disavanzi pubblici per combattere qualsiasi debolezza dell’economia. Il libro di Keynes cercò di sviluppare delle teorie che potessero spiegare come riuscire a determinare la produzione aggregata facendo leva sulla domanda aggregata. Mettendo in discussione l’inefficacia della flessibilità dei prezzi di mercato per curare la disoccupazione, egli teorizzò l’equilibrio basato sulla domanda. Formulò inoltre una singolare teoria della moneta basata sulle preferenze per la liquidità e l’efficienza marginale degli investimenti. Keynes confutò la Legge di Say e spezzò per sempre la relazione causa effetto tra risparmi e investimenti. In sostanza, al posto delle leggi naturali di mercato, Keynes promosse l’uso di politiche fiscali e monetarie, da parte del governo, per cercare di eliminare la recessione e controllare l’espansione economica.

Da questo momento in poi, l’economia americana divenne soggetta a periodi di forte espansione e forte contrazione. Il Ciclo, cosiddetto di Boom e Bust, venne istituzionalizzato attraverso le politiche di governo. In tal modo, per cercare di rattoppare i problemi economici, il governo riuscì finalmente a espandere il proprio ruolo nell’economia attraverso l’uso costante di politiche fiscali e monetarie. Tuttavia, man mano che il suo ruolo economico si estendeva, il governo non fu più in grado di quadrare i propri bilanci e di mantenere stabile la propria valuta attraverso la piena copertura aurea. Alla fine, nell’agosto del 1971, il governo degli Stati Uniti fu obbligato ad abbandonare la copertura aurea rompendo gli accordi di Bretton Woods. Da allora il dollaro smise di essere sostenuto dalle riserve aurifere. A sostenerlo non rimase altro che la fiducia e il credito del governo. Sempre da quel momento in poi il governo degli Stati Uniti non fu più costretto a far quadrare la contabilità e cominciò a presentare ininterrottamente dei deficit di bilancio. Cominciò a spendere, tassare e stampare moneta cercando di fare il possibile per realizzare una soddisfacente politica sociale. I cicli di forte espansione e forte contrazione diventarono sempre più frequenti e pronunciati mentre il valore del dollaro perse la maggior parte del suo potere d’acquisto. Il risultato fu un forte aumento del costo della vita per molti americani. Oggi per sostenere una famiglia è necessario il lavoro di entrambi i coniugi e il ricorso all’indebitamento.

Come risultato di queste politiche il dollaro, che oggi ha raggiunto un nuovo minimo, ha perso circa il 90% del suo potere d’acquisto. In questo paese il tasso di risparmio è diminuito fino a raggiungere percentuali bassissime. Una volta gli americani risparmiavano tra il 10-12 per cento del loro reddito. Il debito è esploso negli ultimi venti anni e accelerato negli ultimi dieci. Non ha importanza se si tratta di debito del governo, debito dei consumatori o debito delle società; il debito ha raggiunto dei livelli mai visti prima. L’ammontare dei debiti americani in essere è pari a $34 trilioni o $119,442 per uomo, donna e bambino. Secondo Michael Hodges, del Grandfather Report, il 61% di questo debito, o $21 trilioni, è stato creato dal 1990 in poi. Contrariamente ai miti popolari, gli anni 90 non sono stati anni di risparmi e investimenti. Al posto dei risparmi e degli investimenti, gli americani hanno tagliato i risparmi sostituendoli con i debiti e i consumi.

Solvibilità dello Stato in dubbio

Il debito sta aumentando ad un tasso che supera di molto le entrate dello Stato. Questo problema solleva la questione della solvibilità dello Stato.

L’espansione del debito e dei consumi ci riporta a considerare la teoria economia classica, che si basava sul concetto di prosperità e collegava la prosperità ai risparmi e agli investimenti. Non si risparmia e non si investe più in questo paese. Abbiamo sostituito il concetto di risparmio e investimento con quello di debito e consumo.

L’enfasi che si dà alle politiche monetarie governative serve per consentire ai consumatori americani di prendere a prestito e spendere sempre di più in modo da far crescere l’economia. Negli ultimi cinquant’anni si è cercato continuamente di espandere credito e debito e di aumentare i consumi. Il risultato è che oggi noi americani risparmiamo poco, investiamo poco e consumiamo molto. In effetti, stiamo consumando tutta la nostra ricchezza.

Tutta la nostra attività industriale si sta trasferendo oltreoceano e il settore dei servizi si stanno trasferendo in India e Asia. Non siamo più autosufficienti per quanto riguarda l’energia, l’attività industriale o i capitali. Per finanziare il disavanzo della bilancia commerciale, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere a prestito e consumare l’80% per cento dei risparmi mondiali. Il risultato è che in cambio dei nostri consumi diamo agli straniere dei dollari che vengono poi usati per comprare i nostri asset come i Titoli del Tesoro, le obbligazioni delle società, le azioni e i beni immobili. E’ solo una questione di tempo prima che gli stranieri rifiutino di concederci a prestito i loro capitali. Non si può far funzionare un’economia, e neppure creare prosperità, sul debito. Gli Stati Uniti sono diventati una economia che si regge sulla carta. Pare che siamo molto bravi a creare carta, scambiare carta ed esportare carta.

Presto, questa politica cesserà di funzionare. Nei report economici, quando si mettono in evidenza i motivi della ripresa, si parla solo di un aumento della spesa dei consumi e, se siamo fortunati, di quello della spesa per gli investimenti di capitale. Cosa porterà questa spesa? Sarà prodotta da profitti maggiori? Non si possono spendere profitti pro-forma. La spesa per gli investimenti di capitale è il risultato ed è sostenuta da profitti reali e flussi di capitale, non da numeri fittizi redatti da contabili creativi. Il consumatore continuerà ad indebitarsi per sostenere spese ulteriori?

Arrivando al nodo della questione

Queste sono delle questioni importanti e devono essere affrontate nel dibattito su come fare per curare e guarire questa economia. Al centro di questo dibattito ci sono le tasse e i consumi. L’ordinamento tributario americano favorisce i consumi e l’accumulazione del debito e ostacola i risparmi e gli investimenti. Gli interessi sono detraibili mentre i dividendi sono tassati due volte. I risparmi vengono tassati ad alte aliquote marginali mentre il finanziamento per comprare una casa è detraibile. Nel dibattito odierno sulle riduzioni delle tasse c’è forte riluttanza a ridurre le tasse con alte aliquote marginali che sono esose, se non punitive. Il concetto principale del dibattito è quello del consumo. Si crede che ridurre le tasse ad alte aliquote marginali giovi solo ai ricchi i quali, in seguito, risparmieranno e investiranno. A quanto pare i risparmi e gli investimenti, che creano la vera ricchezza economica, vengono considerati sinonimo di cattiva economia. Anziché la riduzione delle tasse, vengono favoriti i trasferimenti di ricchezza e le riduzioni temporanee delle tasse. Il legame tra risparmi e investimenti si è completamente perso. Si pensa che tutti i benefici della economia provengano dal debito e dal consumo. La gente prende a prestito, la gente spende; ecco ciò che gli interventisti e i sostenitori del consumo credono che produca prosperità economica.

Ridurre le tasse riporta la moneta nell’economia attraverso mezzi privati. E sono proprio questi mezzi privati che non piacciono agli ingegneri sociali. Si pensa che solo il governo possa realizzare la politica economica, non il mercato. Questo pensiero ha radici keynesiane. Keynes, che era abbastanza esperto di mercato azionario, non si fidava del mercato o della mano invisibile di Adam Smith. Invece, era a favore dell’intervento diretto del governo che ci ha portati in questo pasticcio di debiti. C’è una obiezione ancora più importante alla riduzione delle tasse: si crede esse limitino l’abilità del governo di guidare la politica sociale. Ludwig Von Mises, in Human Action, mostra sia il metodo di pensiero che i pericoli della confisca e della ridistribuzione quando scrive: “….il fine del regime fiscale non è mai quello di raccogliere denaro, poiché il governo può raccogliere tutto il denaro di cui ha bisogno stampandolo. Il vero fine del regime fiscale è quello di lasciare meno soldi nella mani dei contribuenti….” La credenza popolare che crede che questo tipo di imposte esose danneggi solo le vittime dirette, cioè i ricchi, è falsa.

“Se i capitalisti sono messi di fronte alla probabilità che le imposte sul reddito o di successione aumenteranno fino al 100% (prima di John F. Kennedy le aliquote di imposta arrivavano fino al 90%) essi preferiranno usare i loro capitali anziché conservarli per l’esattore…”. Oggi le tasse assorbono spesso la maggior parte dei profitti in eccedenza dei nuovi arrivati… “Essi pertanto non possono accumulare capitale; non possono espandere le proprie attività; non faranno mai grandi affari né concorreranno per demolire gli interessi acquisiti. Protette dall’esattore delle imposte, le vecchie aziende non temono la competizione. Esse possono impunemente abbandonarsi a lavori di routine, possono resistere ai desideri del pubblico e diventare conservatrici.” E infine: “I profitti guidano l’economia. Maggiori sono i profitti e in modo migliore sono soddisfatti i bisogni dei consumatori… Chi serve in modo più soddisfacente il pubblico, trae i profitti maggiori. Combattendo i profitti i governi sabotano deliberatamente il funzionamento dell’economia di mercato.” (Ludwig Von Mises, Human Action, pp. 800-807).

Non c’è da meravigliarsi se le politiche di intervento, ridistribuzione, tasse e consumo abbiano causato a questa grande nazione le attuali difficoltà. Una vera prosperità economica potrà essere reintegrata solo quando ci si allontanerà dalle teorie economiche di Keynes e si ritornerà alle politiche che favoriscono i risparmi e gli investimenti.

Tratto da: www.financialsense.com

Traduzione di Roberta Panizzoli

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