Società

Smartphone: “è arrivato il momento di una costituzione dei diritti digitali”

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Roma – Gli smartphone, quei minuscoli computer che consentono anche di telefonare, stanno portando nelle tasche di milioni di persone i due pilastri della rivoluzione digitale: un computer tutto-fare in grado di elaborare qualsiasi informazione rappresentabile sotto forma di uni e di zeri e una connessione a Internet.

Chi i computer già li frequenta apprezza gli smartphone perché permettono, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, molte, anche se non tutte, delle operazioni tipiche di un computer. E gli altri apprezzano subito, anche grazie alle interfacce intuitive, il marchingegno che si ritrovano in tasca.

La legge di Moore – quella che sancisce il raddoppio delle capacità di calcolo dei computer ogni 18 mesi – ha contribuito: gli smartphone sono sempre più potenti, veloci e versatili. Pochi anni fa, era impensabile che un dispositivo tascabile riuscisse a registrare e magari anche a montare video ad alta definizione: oggi è la norma.

Così per le prestazioni fotografiche, per la navigazione stradale, per le funzioni di pagamento, in un crescendo imperialista che porta lo smartphone ad assorbire nella sua flessibile anima di computer un numero crescente di dispositivi una volta a sé stanti.

Le conseguenze sono chiare. La prima è che lo smartphone diventa sempre di più «il» dispositivo personale. Per molti è più probabile dimenticare a casa il portafogli (che serve solo a pagare) che il proprio smartphone (che fa tante cose, tra cui pagare). La seconda è un netto aumento della produttività.

Produttività lavorativa (e non solo perché il tempo del lavoro sembra espandersi senza limiti) e personale: gestione degli impegni, appunti, shopping, social network, email, tempi di arrivo dei mezzi pubblici, lettura notizie, pagamenti, e molto altro ancora.

Tutto bene, dunque? Viviamo in un mondo meraviglioso che non fa che diventare sempre migliore? Non esattamente. E non solo perché questi strumenti contribuiscono a insinuare il lavoro in ogni momento della vita. Una parte importante della popolazione non può permettersi l’acquisto di oggetti costosi come questi, e del relativo abbonamento dati. Si tratta di un divario digitale che rischia di penalizzare proprio chi avrebbe più bisogno di aiuto.

In secondo luogo, stiamo concentrando in quegli scintillanti parallelepipedi di vetro, metallo e silicio una parte sempre più importante e sempre più intima di noi. Chi riesce ad accedere ai nostri smartphone riesce a penetrare nella nostra vita in modi che le costituzioni non potevano prevedere. Che si tratti di criminali informatici, di aziende senza scrupoli o di governi alla ricerca di scorciatoie, il pericolo è potenzialmente grande.

La soluzione non sono solo nuovi lucchetti tecnologici, ma anche e soprattutto una nuova concezione della persona che deve includere anche i dispositivi digitali della persona stessa. Alla legge di Moore, che continuerà a migliorare le prestazioni degli smartphone, dobbiamo urgentemente affiancare un «Habeas corpus et smartphone» che protegga i diritti nell’era digitale.

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