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Se uscisse dall’euro, Spagna scenderebbe subito da croce

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LONDRA (WSI) – Sembra che abbiamo staccato il cervello. La disoccupazione in Spagna è aumentata di altre 237.000 persone nel primo trimestre ed è arrivata a 6,2 milioni, il 27,2% della popolazione.

Per capirci meglio è come dire 8,3 milioni di disoccupati in Gran Bretagna, o 39 milioni negli Stati Uniti. Il paese sta perdendo 3.581 posti di lavoro al giorno. Ci sono 1,9 milioni di famiglie in cui nessuno ha un lavoro.

Come si può vedere da questa mappa, il tasso ha raggiunto il 36,8% in Andalusia, la regione più popolosa della Spagna. Il tasso nazionale dei giovani disoccupati è del 57,2% e sale al 70% nelle Canarie.

Tutto questo nonostante l’emigrazione di massa dei giovani spagnoli. El Pais riporta che lo scorso anno 260.000 giovani di età compresa tra 16 e 30 anni hanno lasciato il paese.

Una gran parte è venuta a Londra. Sono tutti intorno a Victoria Station, agli uffici del telegrafo e lavorano da Pret a Manger e da Starbucks, e hanno dei modi deliziosamente ben educati.

Altri sono andati in Germania, o nel Golfo Persico, o più lontano ancora. La diaspora spagnola è arrivata a dei livelli che non si vedevano dal periodo dell’ esodo di massa dopo la guerra civile, o dai tempi della Conquista.

Qualcuno dice che la disoccupazione è alta come quella dell’inizio degli anni ‘90. Ma non è così. Uno studio della Banca di Spagna rivela che il tasso di disoccupazione di oggi sarebbe del 4 o 5% più alto di quello di allora che, secondo i vecchi criteri di calcolo, era più vicino al 32%.

Niente di simile si era mai visto prima in tempi moderni. La crisi di disoccupazione della Spagna nel 1930 era molto più mite, e per una buona ragione. La Spagna non era legata al disastro deflazionistico creato dal Gold Standard tra le due guerre. E la crisi in Spagna andò per conto suo.

Il governo Rajoy oggi ha detto che la crisi è “drammatica”, ma ha ripetuto che il paese sta riacquistando la fiducia dei mercati finanziari ed è finalmente sulla strada della ripresa. Purtroppo questo non è vero. Le obbligazioni vigilantes stanno tranquille solo perché la BCE ha promesso di assorbirsi il mercato del debito spagnolo. La crisi dell’economia reale va sempre peggio. La City lo sa.

Il debito pubblico è passato dal 69% all’84% del PIL lo scorso anno, e solo una parte è stata causata dai salvataggi delle banche. Questo balzo è stato enorme in un solo anno e si sottovaluta l’effettivo debito. David Owen di Jefferies dice che la cifra reale arriverà al 113% una volta che verranno conteggiati i crediti commerciali e le fatture non pagate, e le cifre sono disponibili presso la Banca di Spagna.
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Il deficit è passato dal 9,4% al 10,6% l’anno scorso ( il 7 % senza includere le spese bancarie). Il FMI si aspetta che resti fermo al 6,9% nel 2014. Il miglioramento è glaciale, si sentono gli echi di Grecia e Portogallo. Il danno economico causato dai tagli fatti nel rispetto della austerità sta erodendo le entrate fiscali, alimentando una spirale infernale verso il basso.

I consumi delle famiglie stanno crollando come i prezzi delle case, come si può vedere da questo grafico che riporta la cronologia dei prezzi dal 2008 al 2013:

Come al solito, c’è molta angoscia, e le denunce contro l’”ultra-austerità” e contro la Troika UE-FMI (questo è un problema molto sentito in Spagna). I sindacati parlano di una “emergenza nazionale”. Le solite cose. Eppure quasi nessuno nella vita pubblica spagnola è disposto ad ammettere che la causa di tutto questo dolore sia la struttura dell’unione monetaria stessa.

L’euro ha portato in Spagna dei tassi di interesse negativi del 2% all’inizio del decennio e così si è innescato un boom incontrollabile. Il paese ora deve affrontare una rovina incontrollabile. Il problema fondamentale è la perdita del controllo sovrano sul suo tasso di cambio e sulla politica monetaria.

Sono sorpreso che una nazione con una grande storia alle spalle debba sopportare una disoccupazione al 27%, o accettare di essere uno stato vassallo di un regime EMU incompetente e disfunzionale. Ci sarà qualcuno a Madrid che pensa che i funzionari dell’UE a Bruxelles sappiano in realtà cosa stanno facendo? O che quei provinciali che gestiscono il sistema monetario a Francoforte (fatta eccezione di Draghi) siano molto meglio? O che l’Eurogruppo sia un’organizzazione civile, dopo il modo in cui è stata trattata Cipro?

In Spagna il Progetto dell’ Unione Europea è, naturalmente, come una madre, come la torta di mele. E questo concetto si intreccia nel pensiero pubblico con l’arrivo della democrazia, dopo Franco e con il rientro della Spagna nel contesto europeo. Le sovvenzioni di Bruxelles per un quarto di secolo hanno creato una dipendenza culturale e hanno deformato la mente degli spagnoli.

Bene, le menti possono anche non essere deformate.

Ci sono alcune voci solitarie disposte a pronunciare qualche eresia. Io sono un appassionato seguace di “Ilusion Monetaria” un blog di Miguel Navascues, ex- economista (e monetarista) della Banca di Spagna. Navascues dice pane al pane. Esorta la Spagna a liberarsi immediatamente dell’oppressione della UEM.

A sinistra, l’economista catalano David Lizoain dice che è arrivato il momento per i socialdemocratici di chiedere se l’UEM stia facendo più male che bene e, pertanto, se questo sistema dovrà essere smantellato.

Ecco un breve estratto:

In considerazione dell’architettura della zona euro, i paesi della periferia europea non possono impegnarsi in uno stimolo fiscale, uno stimolo monetario, una svalutazione competitiva, o una ristrutturazione finanziaria. Intrappolati come soni nel bel mezzo di spirali recessive-negative, il loro spazio politico è estremamente limitato. Il quadro della zona euro ha generato una depressione economica e una crisi di legittimità democratica. Queste sono condizioni fertili per fallimenti politici ancora maggiori, non certo per raggiungere successi.

Prendiamo il caso spagnolo: Uno stimolo proveniente dal settore pubblico è vietato, in base agli obiettivi di disavanzo controllato e impossibile, a causa dei costi di finanziamento esistenti sui mercati privati. I canali di finanziamento nel settore privato sono bloccati, perché il bilancio del settore finanziario è ancora sopraffatto dalle crescenti sofferenze conseguenti allo scoppio della bolla immobiliare. La mossa ovvia sarebbe quella di impegnarsi in una massiccia ristrutturazione finanziaria (cioè lasciare che le “bad banks” falliscano).

Questo non è possibile perché la BCE non si comporta come un prestatore di ultima istanza. Le banche in periferia non possono fallire senza portarsi dietro i piccoli risparmiatori. Questo per garantire una assicurazione sui depositi, è stato quindi necessario fare un salvataggio del settore privato (e un protocollo d’intesa). Nel giugno scorso i leader di Europed dichiararono: “Noi affermiamo che è indispensabile interrompere il circolo vizioso tra banche e governi.” Gli eventi hanno dimostrato quanto questa sia stata una promessa vana. Il costo del salvataggio delle banche viene ora trasferito sulle casse pubbliche, e le banche che stanno affogando si stanno portando a fondo anche i loro stati sovrani. Ma se questo non bastasse, l’accordo di Cipro dimostra che nemmeno l’assicurazione sui depositi per i piccoli risparmiatori può essere data per garantita.

Il colpo di scena a Cipro rende molto più difficile difendere la tesi che il cambiamento in Europa sia proprio dietro l’angolo, e che questo cambiamento sarà per il meglio. Nessun atteggiamento di ottimismo può poggiare su basi empiriche solide, non ci sono prove di forti maggioranze in Germania favorevoli alle riforme che sarebbero necessarie per porre fine alla crisi e ribilanciare la zona euro.

Se i paesi della periferia avessero ancora un sistema come il “Gold Standard”, sarebbero tutti già stati costretti a uscirne fuori. La depressione euro-indotta è un terreno fertile per il populismo, per l’antipolitica, per l’estremismo e per farsi il sangue amaro, in generale, è un ambiente tossico per i sogni di una “Unione Europea sempre più stretta”.

Il corso degli eventi richiede un lifting del tabù che circonda la dissoluzione della zona euro. Se la solidarietà non può essere raggiunta con una progressiva riforma delle istituzioni economiche europee, allora forse questo è il momento di prendere in considerazione di fermarsi. Forse l’unico modo per salvare l’Unione sarebbe quello di abbandonare l’euro. Ancora c’è speranza.

Il contenuto di questo articolo, tradotto da Bosque Primario per Come Don Chisciotte e scritto originariamente da The Telegraph – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

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