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SE LA FED E’ IN OSTAGGIO

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(WSI) – Con il suo ultimo taglio al costo del denaro la Federal Reserve ha valicato un confine importante, incamminandosi per una strada forse utile nell’immediato ma di sicuro gravida di rischi futuri. La discesa dei tassi al 2,25 per cento è stata decisa, infatti, in un momento nel quale la curva dell’inflazione Usa continua a muoversi un poco sopra il 3 per cento. Ciò significa che, in termini reali, il rendimento dei Federal Funds è ora negativo.

Una scelta di politica monetaria così aggressiva è stata spiegata con argomentazioni a prima vista ineccepibili: le prospettive dell’economia stanno peggiorando, i consumi rallentano e così anche l’occupazione, mentre i mercati finanziari sono in grande stress e la crisi del credito minaccia da vicino la crescita economica. Solo che queste ottime ragioni non possono nascondere o cancellare le controindicazioni implicite nella decisione assunta.

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Non va sottovalutato il pericolo che i mercati interpretino la mossa della Fed come un abbassamento non episodico della guardia sul fronte dell’inflazione. Ciò può indurre gli investitori a ritenere che, in realtà, la banca centrale Usa giudichi la situazione anche molto peggiore di quanto già appaia alla luce di tracolli bancari come quello di Bear Stearns. Nel qual caso una prima e pesante ripercussione sarà la richiesta di rendimenti più elevati sui titoli a medio e lungo termine, con effetti non certo favorevoli a una ripresa degli investimenti. Ma neppure al collocamento di nuovi titoli per il rifinanziamento dell’abnorme debito pubblico americano sui mercati internazionali, che sono già non poco diffidenti verso il dollaro a causa dei suoi continui scivoloni.

Il fatto è che una banca centrale, quando mostra una più attenuata volontà di lotta all’inflazione, lancia ai mercati un messaggio
comunque poco tranquillizzante. Tanto più se accompagnato, come nel caso specifico, dalla considerazione che nella situazione data non si poteva fare altrimenti. In questo modo si rafforza la pessima impressione che la Fed si sia mossa non tanto per intima convinzione sulla bontà della sua scelta, ma sotto il ricatto imperativo di quei soggetti finanziari che con le loro spericolate scommesse hanno creato le tante, troppe posizioni di pericolo dalle quali potrebbero scaturire anche guai ben più seri, con danni diffusi all’intero sistema finanziario oltre che all’economia reale.

Già la crisi dei mutui ‘subprime’ ha messo in forte risalto il vuoto di efficaci poteri di vigilanza sulla moltiplicazione di strumenti finanziari ad alto rischio. Ora le terapie di contrasto stanno ingenerando l’inquietante sensazione che a guidare la danza non siano le autorità di controllo – Fed in testa – ma ancora e sempre gli stessi soggetti che sono all’origine del disastro. Al punto che sono sempre costoro anche ad arrogarsi il potere di stabilire quali dosi di verità contabili si possono rendere di pubblico dominio, dunque quali dosi di verità siano compatibili con la conservazione della loro forza di condizionamento sulle scelte delle pubbliche autorità. Una Fed ostaggio degli avventurieri della finanza è quanto di peggio ci si possa aspettare.

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