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Schumpeter avrebbe guidato una Tesla. Ma ci avrebbe investito?

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Schumpeter avrebbe guidato una Tesla. Ma ci avrebbe investito?

di Alfredo Piacentini (Decalia)

Se Schumpeter ha commesso un errore di valutazione, cosa non certo frequente, è stato quello di aver vissuto un secolo troppo presto. Questo grandioso economista, maestro pensatore dell’innovazione, si è ritrovato nell’epoca sbagliata.
Nato alla fine del XIX secolo con locomotive a vapore e rotative, si sarebbe sentito molto più a suo agio ai giorni nostri, nell’era degli smartphone, delle e-mail e dell‘intelligenza artificiale.
Morto nel 1950, Schumpeter dovette sfortunatamente “saltare” il laser, i microprocessori, la Nasa, internet, l’iPhone o persino Zoom. Se fosse stato un nostro contemporaneo, avrebbe amato Twitter, mettere “mi piace”, fare networking su LinkedIn e caricare le sue lezioni sul proprio canale YouTube.

Tesla, nel 2020 Schumpeter ne avrebbe guidato una

Non è detto, tuttavia, che avrebbe investito lì i suoi risparmi. Come molti di noi, avrebbe osservato con circospezione il rialzo del titolo l’anno scorso. Quotata al Nasdaq, Tesla è cresciuta infatti del 740% raggiungendo una capitalizzazione di $800 miliardi, il doppio di quella di Toyota, Volkswagen, Ford e General Motors messe insieme.
Ampliando il quadro, inoltre, non avrebbe potuto non farsi domande sull’euforia che si è diffusa nel settore tecnologico, mentre la crisi del covid-19 affliggeva l’economia globale.
Nel 2020, l’indice Nasdaq è cresciuto del 44%. E il Nasdaq-100, il suo Olimpo, ha guadagnato il 47%. In soli tre trimestri, undici titoli sono più che raddoppiati, tra cui Moderna e Peloton, entrambi cresciuti oltre il 400%.

Fortemente motivati, gli investitori si sono scatenati anche sulla “classe dei giovani”. A Wall Street, le Ipo hanno assorbito $170 miliardi. Airbnb, icona del digitale, è stata quotata a metà dicembre in condizioni perfette. Dopo aver iniziato a $68, il titolo ha concluso la giornata a $140. A fine gennaio ha superato i $180.

Il confronto tra la bolla tecnologica del 2000 e il 2020

Di fronte al boom dei mercati azionari Usa, il mondo della finanza, già sotto pressione, ha rapidamente evocato lo spettro della bolla e il tragico ricordo del massacro in regola di dot.com. Gli allarmi sono scattati quando il rapporto prezzo/utili del Nasdaq si è avvicinato un po’ troppo a 40, soglia che aveva varcato solo due volte in passato, in particolare nel 2000, prima di affondare poco dopo. Come promemoria, la sua media storica è piuttosto intorno a 20.

Tuttavia, la potenziale bolla incombente è ancora lontana dall’aver raggiunto le proporzioni della mareggiata dot.com di vent’anni fa. Non è esattamente la stessa storia, a patto che siate disposti a sedervi a bordo della macchina del tempo – un concetto fatto per il fondatore di Tesla Elon Musk, tra l’altro.

Nel marzo 2000, al culmine del fermento per tutto ciò che assomigliava da vicino e da lontano ad un sito web, il Nasdaq valeva 175 volte i suoi utili. Più di quattro volte di quello che offre oggi. Nel 1999 il Nasdaq aveva registrato un aumento dell’85,6%. Dodici dei suoi titoli avevano subito un’impennata stratosferica, oltre il 1000%.
Tra il 1995 e il 2000, il Nasdaq era aumentato del 400%. Negli ultimi cinque anni si è “limitato” al 150%. In altre parole, l’attuale smania per la tecnologia sembra molto più contenuta.

In realtà, la bolla creatasi sulla tecnologia, se si vuole qualificarla in questo modo, si spiega meno per la qualità o il potenziale delle sue aziende che per il contesto di mercato in cui operano.

Dopo Schumpeter, potremmo appellarci a Robert Solow ed al paradosso da lui formulato negli anni 80. L’era dei computer si sta diffondendo ovunque, ha osservato quest’altro geniale economista, tranne che nelle statistiche sulla produttività.
Lo stesso vale oggi con l’era digitale. Nonostante i progressi che stanno prendendo forma nei campi della robotica, del machine learning o ancora, dei big data, le nuove tecnologie non stanno ancora avendo un impatto tanto forte quanto suggerisce la valutazione delle loro aziende.

Perché l’ondata della tecnologia può essere spiegata prima dall’ondata di liquidità che le Banche Centrali hanno diffuso. Con i tassi di interesse estremamente bassi, che si aggiungono alla generosità dei grandi tesorieri degli Stati, gli investitori in cerca di rendimento si trovano bloccati, costretti a posizionarsi sulle azioni.
Un po’ come gli inglesi della seconda metà del XIX secolo. Ricchi di cotone con cui avevano invaso il mondo nella prima metà dell’Ottocento, dovettero investire nelle ferrovie, unica industria all’epoca in grado di assorbire il loro enorme capitale.

Nel 2000, tuttavia, gli investitori avevano una finestra di opportunità molto più ampia, poiché i fondi federali all’epoca presentavano solidi rendimenti, di poco superiori al 5%. Era quindi necessario scollegare alcuni neuroni per lanciarsi su miraggi di modelli di business aleatori come le loro entrate.
Vent’anni dopo, le aziende del settore stanno dimostrando una maggiore sostanza poiché i loro finanziatori se ne sono assicurati per primi. I rischi sono inferiori, ma i flussi di capitale continuano a sostenere i prezzi oltre ciò che l’analisi fondamentale ritiene ragionevole.

Detto ciò, in presenza di una dislocazione tecnologica che apre nuovi mercati, è sempre complesso definire modelli che incorporino una crescita elevata dei ricavi sul lungo periodo, specialmente quando i tassi sono a zero. E per i gestori di patrimoni diventa ancora più difficile trovare il giusto equilibrio tra il desiderio di investire in queste nuove opportunità, spesso su richiesta dei clienti, ed il timore che possano improvvisamente rovesciarsi.

I pacchetti di stimolo fiscale che si profilano in Europa e negli Stati Uniti dovrebbero consolidare ulteriormente questa tendenza al rialzo. Tra gli analisti il ​​consensus per il 2021 è piuttosto positivo. Tuttavia, senza gridare al disastro, resta il fatto che ci sarà una correzione nell’aria una volta che l’economia non sarà più sostenuta artificialmente.
E che torneremo ad una qualche forma di normalità nelle nostre vite, come nei mercati.