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ROUND A FAZIO. E IL SUBGOVERNO SPOLPA IL DPEF

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Gianni le doux questa volta tira fuori le unghie. Dolce sì, ma come un gattone: mai carezzarlo contropelo. Quella proposta non s’ha da fare, intima il sottosegretario Letta. Via dal testo del Dpef ogni riferimento alla riforma dell’autorità sul risparmio che ha fatto infuriare il subgoverno Fini-Follini e ha messo in allarme la Banca d’Italia. In via Nazionale festeggiano il nuovo round a favore di Antonio Fazio dopo Mediobanca, le Fondazioni, Basilea 2. Quella che considerano una “provocazione” è caduta, anche se nessuno può scommettere che Giulio Tremonti non ci riprovi ancora.

Apparentemente, l’adamantino ministro dell’economia si è fatto flessibile e l’altra notte a palazzo Chigi ha accettato che il suo Dpef venisse defogliato come un carciofo. Anzi, in tv ha rinnegato la proposta di incentivare i consumi ipotecando la casa: era l’ipotesi di un professore e niente più. Ma nella cena al ristorante «Ai due Ladroni» con Bossi, Micciché, Marano e Fede, ha spiegato a tutti che per lui il vero lavoro comincia adesso. Sì, il grosso è rinviato. Però nessuno si illuda: via XX settembre veglia. Perché il foglietto che Silvio Belusconi ha fatto circolare tra i ministri parla chiaro: i sondaggi mostrano che la maggioranza è in netta discesa; affinché non si trasformi in caduta libera bisogna che dimostri di saper governare. E il primo, fondamentale atto di governo si chiama finanziaria.

Per tenere insieme la maggioranza, è scattato un complesso gioco di scambi politici. I centristi hanno ottenuto la Rai. Bossi il congelamento delle pensioni e la promessa della devolution. Fini una riedizione della cabina di regia attraverso il nuovo patto con i sindacati che si chiama “Accordo per Riforme, Competitività, Sviluppo ed Equilibrio finanziario” (maiuscole comprese). Però, i conti non tornano. Tanto meno l’economia reale, ha ammesso Tremonti.
Le grandi voci di spesa sono tre: pensioni, sanità e pubblica amministrazione.

Il Tesoro ha presentato un’ipotesi di risparmio di 800 milioni quest’anno e 5 miliardi a regime grazie all’intervento sulle pensioni, usando disincentivi alla uscita. Il più importante dei quali è il passaggio al sistema contributivo (si va in pensione sulla base di quel che si è effettivamente versato): potendo contare su una pensione più bassa, la gente è spinta a restare più a lungo al lavoro. «Disincentivi? Non erano questi i patti – si è sentito rispondere da Umberto Bossi – Le pensioni di anzianità non si toccano, altrimenti rimetto in discussione quelle per l’invalidità che riguardano il sud». Quanto ai dipendenti pubblici, An ha messo nero su bianco che si debbono trovare i quattrini per i contratti. La sanità? Non è all’ordine del giorno. Finirà anch’essa nel rebus irrisolto (e forse irrisolvibile) della devolution.

I tecnici hanno calcolato che il deficit per il 2004 ammonta a 18 miliardi di euro. Grazie a una serie di aggiustamenti contabili e operazioni creative, è possibile portarlo a 15,5 miliardi. E’ questa la cifra chiave del Dpef. Ma il Tesoro è subissato di richieste. Mettendo insieme tutto quello che i ministri vogliono nella prossima legge finanziaria, si arriva a 40 miliardi di euro. Con il decreto taglia spese se ne possono risparmiare quattro. Bisogna tener conto che stato ed enti locali sono in grado di utilizzare in un anno, non più del 30% delle somme stanziate. Quindi, Vittorio Grilli, il ragioniere generale, può mettere in bilancio “soltanto” 12 miliardi per il 2004. Ma 12 più 18 fa 30. E’ questa, dunque, l’ingente cifra che bisogna recuperare. Come?

Tremonti ha spiegato al consiglio dei ministri che 10 possono venire dalla cartolarizzazioni dei crediti, la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, condoni tra i quali quello edilizio, suonando su una tastiera ampia, ma pur sempre limitata. Arrivati all’ultima nota, bisogna cambiare spartito. A quel punto, le riforme diventano indispensabili. Che facciano pure le ferie, poi dovranno tornare tutti in via XX settembre dove le luci non si spengono mai.

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