Società

Romani ministro per lo Sviluppo “Sarebbe stato meglio Confalonieri”

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Paolo Romani è stato nominato ministro dello sviluppo dal presidente Repubblica, Giorgio Napolitano ed ha giurato al Quirinale dove si era recato insieme al premier Berlusconi. Il ministro dello Sviluppo economico mancava ormai da 153 giorni, da quando si è dimesso Claudio Scajola per lo scandalo legato all’appartamento di via del Fagutale a Roma ed il ministero era passato ad interim a Berlusconi.

La cerimonia del giuramento è stata brevissima. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è arrivato alle 19 insieme al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e al viceministro Paolo Romani. Cinque minuti dopo è arrivato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, insieme al segretario generale della presidenza della Repubblica e ai suoi consiglieri. Berlusconi ha sottoposto il decreto di nomina di paolo Romani a ministro dello Sviluppo economico. Il segretario generale Marra ne ha dato lettura e il Capo dello Stato lo ha controfirmato. Quindi Romani ha letto la formula di rito del giuramento. Napolitano gli ha stretto la mano augurandogli «buon lavoro». La cerimonia si è conclusa così e Napolitano ha congedato Berlusconi. L’incontro per la nomina del ministro non ha dato luogo a incontri e colloqui tra i due presidenti. Si è notato che la cerimonia è stata ridotta ad una ritualità essenziale.

«Con Romani siamo al trionfo del conflitto d’interessi. Berlusconi non solo ci ha messo cinque mesi per nominare un nuovo ministro allo Sviluppo Economico, ma ha scelto anche il candidato meno adatto, l’uomo che è stato il braccio armato di Mediaset nelle istituzioni, l’uomo al quale Berlusconi ha affidato la tutela dei suoi interessi nell’etere ora si occuperà della banda larga e delle frequenze televisive». Lo afferma in una nota il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. «È evidente – osserva l’esponente dipietrista – che Berlusconi ha avuto paura della mozione di sfiducia, ma Romani non garantisce il necessario equilibrio per un incarico così importante e delicato. Un’altra prova di incapacità e del fatto che Berlusconi pensa solo a tutelare i propri interessi».

«Avrei preferito Confalonieri: sia per la sua conoscenza del mondo dell’impresa, sia per la sua conoscenza del mondo televisivo.» Così Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, ha commentato la nomina.

«Non trova il ministero». «Mastro Geppetto costruirà in legno il ministro dello Sviluppo, e l’opera è in fase di rifinitura. La verità è che qualunque ministro venga non troverà più il ministero» il parere del Pd per bocca del segretario Bersani il quale si riferisce au 900 milioni di fondi tolti dalla manovra, a quelli traferiti al ministero degli Affari regionali e agli 800 milioni del turismo passati alla gestione Brambilla.

La nomina di Romani conferma il clima di fine legislatura: Lega e finiani si scontrano non tanto sulla durata del governo quanto sulla data delle nuove elezioni. La prima le vuole subito, i secondi sono pronti a giurare che prima ci sarà il passaggio di un governo che, chissà con quali tempi, sarà al paese una nuova legge elettorale. A bruciare le polveri è, stamane, il ministro dell’interno Roberto Maroni, in una trasmissione televisiva: «Senza conferma che la maggioranza c’è» meglio «andare al voto subito». Ma in contemporanea Fli già chiariva che non c’è niente da dare per scontato.

Queste infatti le parole di Italo Bocchino, capogruppo dei «futuristi della libertà» alla Camera: «Se qualcuno cerca un pretesto per andare a votare, allora sappia che esiste già una maggioranza alternativa, in grado di ritrovarsi sulla modifica della legge elettorale». Ancora più esplicito: «Si può pensare, se il premier si dimette, a un governo che abbia come obiettivo la cancellazione del porcellum».

A poco serve la rassicurazione che Fli si ritiene alternativa alla sinistra, nè il tentativo di infilare a Berlusconi una suadente pulce nell’orecchio: «è la Lega che vuole andare al voto per sottrarre voti a un Pdl in grande difficoltà». Risponde infatti, a nome del Pdl,il coordinatore Sandro Bondi: «L’idea di una nuova maggioranza parlamentare favorevole al cambiamento della legge elettorale fa chiarezza su certe intenzioni». In un caso simile, aggiunge, «si formerebbe un fronte trasversale costituito anche dalla sinistra e dall’Udc, plastica esemplificazione della manipolazione più sfrontata della volontà popolare».

Intanto, però, sul fronte delle opposizioni qualcuno si dice d’accordo non con Fli, ma con la Lega. Antonio di Pietro infatti chiede «elezioni al più presto» per «ridare al paese un governo che pensi ai cittadini e non agli affari personali del premier». E anche il Pd, con Marina Sereni, chiede un governo vero, al posto di quello di plastica: «Questo è un Presidente del Consiglio ossessionato dai suoi processi e prigioniero di una coalizione sempre più litigiosa e sfilacciata».

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Digitale, Sky e banda larga. Romani e Mediaset a braccetto

Frequenze concesse in anticipo al Biscione, pressioni per evitare che Murdoch sbarchi sul DTT, strategie per controllare Telecom. Successi e insuccessi di un viceministro da sempre vicino agli interessi di Cologno Monzese. Che tanti anni fa lanciò il porno sulle tv commerciali.

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(WSI) – “IL 24 settembre 1974, con l’avvio delle trasmissioni di TV Libera, seconda emittente privata italiana, contribuisce alla rottura del monopolio radiotelevisivo italiano gettando le basi del futuro mercato dell’emittenza privata”. Si chiude così, sul sito del governo italiano, la pagina che ci racconta la biografia nel neo ministro per lo sviluppo, il 63enne deputato del Pdl Paolo Romani. Uomo che di mercato televisivo se ne intende, considerando che negli anni, nel ruolo di viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni (carica che ha ricoperto dal 2008) si è guadagnato il titolo, coniato dai suoi perfidi detrattori, di “Ministro allo sviluppo di Mediaset”.

Il canale 58. Certo, l’ultimo episodio che in ordine di tempo ha visto scivolare Romani nel vortice delle polemiche – con Mediaset coinvolta – non poteva che ridar fiato a chi proprio non riesce a vederlo come uomo delle istituzioni “super partes”. Nemmeno un mese fa, all’oscuro di tutti, il viceministro autorizza Mediaset a occupare una super frequenza – il canale 58 – per sperimentare il digitale in alta definizione. Un vantaggio sui concorrenti considerando che consente al Biscione di portarsi avanti in vista di una gara che ancora non si è svolta. E allora?, risponde lui: si tratta di test. Niente affatto, attacca senza tanti giri di parole Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazioni del Pd, questo è un regalo a un privato. E questo privato si trova a Cologno Monzese. Insomma, “il canale in questione non è utilizzato per alcuna sperimentazione ma per arricchire l’offerta in HD di Mediaset”.

Fermare Murdoch. Sul fronte televisivo il nemico, per Romani, si chiama Sky. E anche per Mediaset, ovviamente. La guerra con Murdoch è in atto da almeno due anni, da quando cioè il governo Berlusconi alzò l’Iva sulla pay-tv, colpendo a tradimento il colosso satellitare. Ma non è così facile fermare l’avanzata del network del magnate australiano. Anche quando dal satellite vuole estendersi al digitale terrestre. Così succede che Sky chieda a Bruxelles una deroga per partecipare all’asta per frequenze vecchie e nuove e ottenga il sì della Commissione nonostante le pressioni proprio di Romani – nella sua veste istituzionale – e di Fedele Confalonieri, che di Mediaset è presidente. Un atteggiamento, questo del viceministro italiano, che irrita non poco il commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia. Il quale certo non la manda a dire.

La rete del futuro. Anche dove si gioca il domani delle comunicazioni il terreno non può che essere scivoloso. E qui Romani si è fatto una certa esperienza, con strategie che coincidono sempre con quelle del Biscione, che guarda un po’ una rete di suo non la possiede. Così l’obiettivo diventa la proprietà di Telecom, azienda che ha il monopolio della rete telefonica italiana. Una partita tutt’altro che facile, una missione che vede Romani impegnarsi a manovrare ma senza grande successo, almeno finora. Fallisce il tentativo di sostituire Franco Bernabè con Stefano Parisi, ad di Fastweb (e amico del viceministro) con l’obiettivo di scorporare la rete Telecom. Romani chiama allora come consulente un esperto come Francesco Caio e gli chiede studiare una soluzione per dotare l’italia di una rete di nuova generazione. Questi conclude dicendo che la rete va scorporata e divisa tra tutti gli operatori. Facile, no? Bene, ma c’entra Mediaset? Per esempio In una riunione tra lo stesso Romani, Caio e Confalonieri nella quale si discute come scorporare la rete Telecom ma senza che quest’ultima sappia nulla. L’operazione viene bloccata. Romani insiste: lancia il progetto – assieme a Vodafone e Wind – di una nuova rete superveloce. Ma tutto resta fermo.

Il moralista. Chi non ricorda la sollevazione del popolo web quando, all’inizio dell’anno, filtrarono i contenuti delle disposizioni del decreto Romani su cinema, web e televisioni? Molte di queste furono poi epurate all’atto dell’approvazione – il cosidetto bavaglio al web, per esempio – e fecero sorridere alcune di quelle contenute nel capitolo “tutela ai minori” come l’sms che avvisava i genitori che il figlio stava navigando un sito hard. Sì, perché l’estensore, padre di tre figli, proprio con il porno ha fatto qualche soldino. Come quando era l’editore di Lombardia 7 – dal 1990 al 1995 – e portava avanti una tv privata con una forte presenza di programmi a luci rosse e linee 144, le cosidette hot-line che regalavano bollette astronomiche agli utenti più ingenui. Il programma di maggior successo era “Vizi privati e pubbliche visioni” con protagonista l’esuberante Maurizia Paradiso. Che sembra abbia rotto il suo rapporto professionale con l’editore dopo una litigata rimasta nella leggenda.

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