Nonostante sia un processo doloroso per molti investitori, il ridimensionamento dei titoli tecnologici può essere – dicono gli esperti di Wall Street – esattamente ciò di cui il mercato azionario Usa aveva bisogno.
Speculare facendo leva sui rialzi continui (+80% in 12 mesi per il Nasdaq nel 1999) comprando titoli Internet e “dot.com”, rivendendoli dopo due giorni, e ricomprandoli ancora, e così all’infinito, è una strategia che ormai non paga più.
Nulla contro la speculazione (attività anzi assolutamente lecita e sacrosanta in borsa), ma investire è un procedimento più complicato: a ben vedere, il fatto che per molti trimestri di seguito sia stato facile guadagnare in borsa, non è stato certo frutto della bravura dell’investitore, ma di un trend particolarmente favorevole del mercato.
Benvenuti alla normalità. Dove guadagna solo chi è davvero bravo e informato. E dove è tornato in voga il “vecchio” modo di investire, scegliendo aziende e titoli che producono utili.
Secondo un sondaggio condotto di recente da Wilshire Associates, è confermato quello che gli esperti di Wall Street Italia stanno dicendo da mesi, e prima comunque che la bolla del Nasdaq scoppiasse lo scorso marzo: la maggior parte degli investitori ritiene che nell’investire sia importante tener conto degli utili effettivi dell’azienda, e inoltre di quanto si paga per un’azione, e di qual è il rapporto price/earning (rapporto prezzo/utili).
“E’ in atto un grande cambiamento nell’ atteggiamento degli investititori”, spiega Tom Stevens, responsabile della divisione asset management di Wilshire. “La gente è tornata alla sana analisi fondamentale”.
Stevens ha analizzato la redditività dall’inizio dell’anno di 750 società a larga capitalizzazione, e di 1.750 “small cap” (aziende a piccola capitalizzazione) facenti parte dell’indice Wilshire 5000 (che Wall Street Italia pubblica in prima pagina IN TEMPO REALE).
Dal primo marzo e fino a luned6 scorso, le aziende redditizie con un basso price/earnings (P/E) hanno registrato performance di borsa decisamente migliori rispetto a quelle dell’high tech che non hanno profitti e che mostrano un rapporto P/E alto.
Come mai questo cambiamento, con il ritorno alla normalità e a un sano, prudente approccio al mercato e all’investimento in borsa?
In due parole: mercato orso.
Molti investitori sono rimasti bruciati per aver acquistato azioni di società internet a prezzi esorbitanti.
Dopo essere sceso il 2% martedì, alle 11:00 di mercoledì ora di New York il Nasdaq è in calo di oltre il 4%, per cui l’indice dei tecnologici ha perso il 33% dai massimi del 10 marzo scorso. Molte società del settore internet sono sotto del 50-70% dai massimi.
Come risultato, i soldi cominciano di nuovo a fluire verso aree del mercato che prima erano ignorate durante il gran rialzo del Nasdaq e del settore high-tech. Un esempio concreto: 31 dei 39 settori industriali dell’indice Wilshire 5000 hanno battuto l’indice, a partire dal 1 marzo. Lo stesso era successo soltanto ad 8 settori in febbraio.
E da quando il Nasdaq è entrato in fase di mercato orso, 3 su 4 azioni facenti parte dell’indice S&P 500 sono invece in rialzo.