Economia

Ristrutturazione debito: le possibilità in Europa

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ROMA (WSI) – “Il debito pubblico è la misura della pavidità dei politici”, ha osservato il noto economista francese Jacques Attali. Per cui pagano dazio creditori e cittadini innocenti. Ma quella che era prima un’idea avanzata da qualche economista in cerca di popolarità è diventata una proposta seria che sta prendendo sempre più piede in Europa. Il progretto per una ristrutturazione del debito dei paesi appartenenti alla cosidetta periferia dell’area euro non va considerato una chimera.

La soluzione del cancellamento del debito ‘odioso’ e del suo rigetto non è una misura percorribile allo stato attuale delle cose in Europa. Se ripudiare il debito ‘odioso’ è un’operazione già percorsa e fattibile in linea generale, è molto difficile che veda la luce nell’area della moneta unica, come ricorda La Tribune.

Storicamente, il rifiuto completo del debito sovrano è un evento rarissimo. Il caso più emblematico è quello dell’Unione sovietica che, dalla rivoluzione di ottobre del 1918, ha rifiutato l’eredità del debito dello Stato zarista, rovinando gran parte dei creditori dei titoli russi, in maggioranza francesi. Ufficilamente il default è stato definito ‘parziale’, perché nel 1997 un accordo tra i due Stati ha stabilito il versamento di 400 milioni di dollari ai detentori di debito russo.

La scusa dei russi era che il debito degli zar era stato utilizzato al servizio della tirannia e non del popolo. Pertanto non spettava al nuovo governo socialista onorarlo. Nel caso europeo, un argomento simile sarebbe un po’ debole. Gli esecutivi di Portogallo, Cipro e Grecia riconoscono la legittimità del debito pubblico.

Alcuni hanno preteso che il debito accumulato dai governi greci, che avevano truccato i conti, si potesse considerare ‘odioso’, ma l’argomento non è poi stato ripreso e sostenuto a sufficienza. È difficile che questo tipo di default, il più violento di tutti, sia utilizzato in Eurozona.

Il default parziale, che corrisponde a uno scambio di titoli, è invece un caso più frequente che potrebbe anche essere scelto dai paesi più travagliati del blocco a 17.

Capita spesso che venga proposto uno scambio di titoli ai creditori. I vecchi Bond sono sostituti da nuovi titoli di valore inferiore. È quello che è stato proposto ai proprietari di debito greco a marzo 2012. In quel caso ai creditori venne chiesto di accettare 46,5 euro di titoli nuovi al posto di 100 euro di debito vecchio.

Nel caso greco il debito viene inoltre garantito da una serie di titoli terzi emessi dal fondo salva stati EFSF. È sicuramente il caso che ha maggiori chance di essere utilizzato nel caso di un altro default nel Sud d’Europa.

Una terza opzione è quella in cui lo Stato fa default scambiando una parte del suo debito con titoli che hanno lo stesso valore di facciata, ma non lo stesso valore reale.

È il caso della Francia del 1797, all’alba della Rivoluzione Francese. Parigi decise di attribuire ai suoi creditori due nuovi titoli per uno solo di debito vecchio.

Il primo titolo, che rappresentava due terzi del valore del debito, era pagato in ‘buoni’ che potevano essere utilizzati solo per il pagamento dei beni nazionali il cui valore continuava a ridursi. Un anno più tardi i proprietari del debito si sono ritrovati con appena il 2% del valore nominale. L’altra parte (un terzo) di debito «consolidato» venne ripreso come debito pubblico, che garantiva un rendimento del 5% l’anno.

Insomma, la Francia si è sbarazzata di due terzi del suo debito fregando i suoi creditori. A questo metodo viene preferito quello dello scambio di obbligazioni.

Un altro default possibile è quello per inflazione o svalutazione. Si tratta della maniera più insidiosa per sbarazzarsi del debito. Consiste nel rimborso del debito contratto in una moneta svalutata, oppure nel lasciare l’inflazione galoppante erodere il debito, il quale diventa rimborsabile a buon mercato.

Il vantaggio di questo metodo è che il debito non fa default in realtà, bensì viene rimborsato nella sua integralità. Ma l’inflazione diventa la fonte di impoverimento della popolazione locale. In Europa per ricorrere a una simile strategia un paese del blocco a 17 dovrebbe uscire dalla moneta unica. Per il momento è esclusa ma in futuro potrebbe materializzarsi.

Infine, c’è la rimodulazione delle scadenze del debito.

Anzichè porre i creditori davanti al fatto compiuto, come l’Argentina del 2002 e la Grecia del 2012, si potrebbe negoziare con loro la ristrutturazione del debito. Il vantaggio per Atene e Buenos Aires è stato che hanno gestito l’ammontare di debito cancellato. L’inconveniente è che si sono esposte al rifiuto in massa della soluzione proposta.

Famoso il caso della clausole di azione collettiva (CAC), secondo cui è consentito imporre la scelta compiuta dalla maggioranza dei creditori (nel caso greco il 75% del totale) a quella di tutti gli altri.

Meglio sarebbe imporre un rapporto di forza. Il paese che fa default non dispone dei mezzi per far valere la propria idea di ristrutturazione del debito. È spesso un paese isolato politicamente, che ha bisogno urgente di fondi ed è pertanto pronto ad accettare qualunque condizione imposta dai crditori.

Spesso, di conseguenza, il default finisce per essere una ristrutturazione delle condizioni e dei termini del debito, come nel caso dell’altra bancarotta greca famosa, quella del 1893. E anche per determinare una perdita di sovranità e la conservazione nonostante tutto di un notevole fardello del debito.

Nell’area euro la questione è un po’ diversa. Le condizione proposte ai creditori non sarebbero definite dagli stati coinvolti, bensì dalle stesse autorità dell’area euro. In questo caso il rapporto di forza non sarebbe a favore dei creditori. Qui sta la chiave di tutto.

Ma siamo sicuri che convenga pagare le conseguenze che la ristrutturazione comporta? L’austerity (è sotto gli occhi di tutti il danno che ha provocato in certi paesi) e il rischio di un contagio. In quest’ultimo caso è sopratutto il pericolo che correbbere il sistema bancario che andrebbe valutato per bene e da vicino, perché molti istituti di credito dispongono ancora di ingenti quantità di debito periferico.

È anche il motivo per il quale la ristrutturazione del default viene scarata come ipotesi per uscire dalla crisi. Bisognerebbe evitare che il default provochi una crisi bancaria. E finché l’Unione Bancaria resta bloccata nel limbo, difficilmente sarà possibile.