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Risparmio gestito, scendono patrimoni e investimenti. Cosa sta succedendo

Il mondo del risparmio gestito sta cambiando radicalmente. Nel corso degli anni i continui rialzi di azioni e bond hanno contribuito ad alzare le entrate dei vari asset manager. In questo modo, sostanzialmente, sono stati nascosti gli aumenti delle spese. Il cambio di passo, però, è avvenuto nel corso del 2022, quando l’inflazione, le strette monetarie e la guerra in Ucraina hanno frenato la corsa delle Borse. E, soprattutto, hanno abbattuto il valore delle varie obbligazioni.

Il patrimonio globale è passato da 108 a 98 miliardi di dollari, diminuendo del 10%. Calati anche i flussi di investimento, che sono scesi del 3% per gli asset in questione e si sono attestati all’1,6%. Cosa ha comportato tutto questo? I costi sono rimasti invariati. Come se questo non bastasse la pressione sui margini dei fondi è continuata e nel 2022 i ricavi dei gestori sono calati dell’11%, mentre gli utili del 27%. Siamo davanti a una situazione inedita, dopo una ventina d’anni di crescita dei ricavi.

I cambiamenti del risparmio gestito

Il risparmio gestito sta quindi cambiando? In Italia, che costituisce il quinto mercato in Europa, il patrimonio gestito è infatti passato da 2.300 a 2.100 miliardi, guidato dal declino dei fondi dedicati agli investitori retail. Secondo l’edizione 2023 del Global Asset Management di Boston Consulting Group (BCG), davanti all’incertezza, amministrare il risparmio non è più sufficiente. Adesso come adesso è necessario gestire anche la trasformazione secondo la ricetta delle tre “P”:

  • profittabilità;
  • mercati privati;
  • personalizzazione.

Edoardo Palmisani, managing director e partner di BCG, spiega:

“L’aumento dei ricavi degli asset manager dal 2006 a oggi è stato sostenuto per circa il 90% dalle performance di mercato che hanno più che compensato la crescita dei costi, il calo delle commissioni e il flusso di capitali verso prodotti con minore marginalità. La rapida ascesa dei tassi d’interesse ha contribuito nel 2022 al calo del 10% delle masse gestite degli operatori a livello globale, del 9% in Italia. In questo contesto, la creazione di valore per gli asset manager passerà sempre di più attraverso un ribilanciamento delle masse verso prodotti ad elevata marginalità e da una forte semplificazione del modello operativo”.

Profittabilità

La concorrenza ai gestori attivi da parte dei fondi passivi che fra 2010 e 2022 hanno attratto il 90% dei flussi di investimento negli Stati Uniti. La loro quota di mercato è ancora residuale in Asia (21%) e anche in Europa (20%), dove però potrebbe salire rapidamente se l’Ue vieterà gli accordi di retrocessione fra gestori e reti distributive. Il successo dei replicanti ha intanto indotto un taglio trasversale delle commissioni, scese più del 15% dal 2010 per un ammanco di fatturato quantificabile in 55 miliardi di dollari.

Secondo il report, “nel frattempo, i costi sono saliti di pari passo con l’aumento delle masse e, anzi, negli ultimi anni a un ritmo superiore del 2% alla crescita dei ricavi. Circa il 60% dei costi sono fissi, ma per mantenere gli attuali livelli di redditività dovranno essere ridotti almeno il 20%. Si potrebbe cominciare, per esempio, dalla razionalizzazione dell’offerta: due terzi del patrimonio gestito si concentrano in fondi comuni ed Etf con oltre un decennio di servizio, mentre meno del 40% dei prodotti lanciati 10 anni fa è ancora in attività. Segno che giustapporre nuovi fondi con minime differenze non è più sufficiente: l’industria del risparmio gestito deve intraprendere una trasformazione radicale per continuare a prosperare”.

Risparmio gestito e private market

Per non perdere profitti, nei prossimi anni i gestori dovranno calibrare nuovamente la loro offerta con l’obiettivo di generare il 30% dei ricavi da prodotti a maggior marginalità, quali anzitutto gli investimenti alternativi. Pur amministrando un quinto delle masse totali, i gestori di private equity, debt e immobiliari hanno catturato nel 2022 metà dei ricavi dell’industria (oltre 190 miliardi). Nel prossimo lustro i loro asset in gestione cresceranno in media del 7% all’anno, un tasso superato soltanto dai fondi passivi (9%).

Merito soprattutto del contributo dei risparmiatori individuali che nel medio termine aumenteranno l’allocazione agli alternativi del 15% all’anno, pagando commissioni superiori a quelle ostinatamente negoziate dagli investitori istituzionali. Per cavalcare l’onda dei mercati privati, però, i gestori tradizionali dovranno dotarsi delle necessarie competenze tramite acquisizioni o collaborazioni.

Personalizzazione

Fra gestore e cliente si instaura spesso un rapporto personale: le scelte di portafoglio del primo sono condivise e tarate sulle preferenze del secondo. Il progresso tecnologico promette però di avvicinare l’esperienza di investimento a quella offerta dalle piattaforme di streaming video. Sistemi automatizzati consentono per esempio di inviare proposte a potenziali investitori e di interagire con loro per poi attivare un contatto con il consulente solo al superamento di una determinata soglia di interesse.

Simili soluzioni consentono di aumentare del 20% la capacità dei gestori di convertire i contatti in vendite di fondi, riducendo al contempo i costi. Una delle innovazioni più promettenti risiede poi nel cosiddetto direct indexing, ossia l’abilità di creare, attraverso azioni frazionate e trading a zero commissioni, portafogli personalizzati su larga scala.