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Riforma pensioni rinviata all’autunno: le possibile misure in arrivo

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Riforma pensioni rinviata all’autunno: le possibile misure in arrivo

In scadenza la famigerata Quota 100, l’anticipo pensionistico voluto dal precedente governo, per ora di riforma previdenziale nel Pnrr, il Piano Nazionale di Resilienza e Resistenza non v’è traccia. Tante le proposte avanzate finora da più parti, dai sindacati e anche dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico.

Certo la riforma pensioni del governo Draghi arriverà sicuramente dopo l’estate, in autunno con la nuova legge di Bilancio 2022, ma qualsiasi riforma si farà, occorre  regalare finalmente agli italiani regole stabili per il prossimo decennio, garantendo flessibilità in uscita e maggiore equità di trattamento per i contributivi puri.
Così il presidente di Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla che lancia le sue “idee” di riforma nel sistema pensionistico italiano.

Riforma pensioni: le possibili misure

In primis, dice Brambilla, per garantire un’ordinata uscita da Quota 100, oltre alla “pensione di vecchiaia” con 67 anni di età,e almeno 20 di contribuzione (una sorta di quota 87 o più) si potrebbe innanzitutto, rendere stabile la cosiddetta pensione di “vecchiaia anticipata” con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne) che scadrà nel 2026.

La pensione di vecchiaia anticipata però deve prevedere  agevolazioni per alcune categorie come le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), i caregiver (un anno) e i precoci maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età.

Oltre alla pensione di vecchiaia anticipata, sottolinea sempre Brambilla, si potrebbe rafforzare l’APE sociale, un’altra misura di pensione anticipata estendendola ai lavori gravosi.

In tal caso Brambilla sottolinea l’importanza di usare tre strumenti che hanno il pregio di non gravare sul bilancio dello Stato e che possono aiutare l’intero comparto produttivo nella ristrutturazione post pandemica e nella riqualificazione del personale:

1) l’isopensione, che consente già oggi ai lavoratori delle aziende con più di 15 dipendenti un anticipo fino a un massimo di 4 anni (7 anni fino al 2023), con costi e contributi figurativi interamente a carico delle imprese;

2) i contratti di espansione che prevedono una forma di ricambio generazionale, con l’assunzione di un giovane ogni tot prepensionati per i dipendenti delle imprese con più di 250 addetti (ma il Decreto Sostegni bis potrebbe abbassare la soglia a 100, anche qui oneri totalmente a carico delle imprese);

3) i fondi esubero o di solidarietà, oggi attivi per le banche e le assicurazioni (ne è stato creato uno anche per l’industria farmaceutica) e immediatamente attivabili per industria, commercio, servizi, artigianato e agricoltura.

Infine, conclude Brambilla, si può prevedere anche qualche ulteriore forma di flessibilità, tipo “Quota 102 (64 anni di età con 38 di contributi, di cui almeno 36 effettivi).

Indipendentemente dalla scadenza di Quota 100, ci sono già oggi molte possibilità di uscita anticipata: un maggior utilizzo dei fondi bilaterali, attualmente alimentati da una contribuzione intorno allo 0,32% della retribuzione lorda (un terzo a carico dei lavoratori), più altre contribuzioni già fissate dai contratti collettivi, risolverebbe le necessità delle imprese di ristrutturazione dei processi produttivi e garantirebbe, dopo la fine del blocco dei licenziamenti, un “paracadute” per i lavoratori non più reimpiegabili assorbendo le causali ex APE sociale e garantendo a 67 anni una pensione decorosa senza costi per la collettività. Anzi, magari restituendo il beneficio ricevuto con almeno 2 giorni di lavori socialmente utili.