Società

REFERENDUM:
LA TUA FIRMA PER
IL MAGGIORITARIO

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(WSI) –
Ma davvero il problema della legge elettorale è quello di scegliere tra sistema tedesco, spagnolo, francese (e fra poco portoghese, sudafricano e quant’altro)? Davvero basta prendere la legge elettorale di uno di questi Paesi, che normalmente lì ha funzionato piuttosto bene, applicarla da noi con qualche modesta correzione per risolvere i problemi che ormai ci angosciano da circa due decenni?

Ma se le cose sono così semplici, non è meglio prendere un bravo professore di diritto pubblico comparato, commissionargli un preciso lavoro, e darlo ai presidenti di Camera e Senato perché provvedano velocemente? Ma neanche per idea. La Germania e la Spagna c’entrano poco con i nostri problemi. Tutto questo dibattito sui sistemi europei è una grande cortina fumogena che ha come unico risultato quello di non far capire più niente a nessuno.

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Perché ogni legge elettorale, ogni sistema istituzionale, ogni Costituzione deve dare una risposta ad una domanda fondamentale, deve compiere una scelta tra due modelli possibili. Tutto il resto viene di conseguenza. La democrazia è il sistema che affida ai cittadini le scelte più importanti, la prima delle quali è quella del governo.

I due obiettivi delle democrazie

Le democrazie moderne hanno due possibilità di realizzare questo obiettivo. O il governo viene scelto direttamente dai cittadini, e resta in carica sino a che i cittadini stessi, con un voto diverso, gli revocano il mandato e scelgono un altro governo; ovvero il compito di fare e disfare il governo viene affidato non ai cittadini direttamente, ma a un organo comunque eletto dal popolo, cioè il Parlamento. Nel primo caso il governo ha una investitura popolare diretta, e resta in carica sino alle nuove elezioni.

Nel secondo il governo risponde al Parlamento, viene formato dalle maggioranze che si formano là dentro, e può venire rovesciato e sostituito in seguito a nuovi accordi tra i gruppi parlamentari. Spesso vengono formate maggioranze diverse, a volte il governo viene cambiato anche se la maggioranza rimane identica, perché se il Parlamento è sovrano nulla impedisce ad una maggioranza di dire che resta uguale ma che cambia il premier o i ministri.

Questa è la scelta fondamentale. Questa è la posta in gioco. È una posta fondamentale perché incide sulla sorte dei partiti e di gran parte degli uomini politici di oggi. Ma è fondamentale soprattutto perché da essa dipende se in futuro l’Italia potrà essere governata o no. Non voglio dire che il maggioritario assicuri statisti lungimiranti e governanti probi. Nessun sistema ci garantisce un Napoleone o un Giulio Cesare.

Per buoni che siano gli strumenti democratici, dipende alla fine dal cittadino usarli saggiamente. Quello che voglio dire è che il sistema che proponiamo, e per cui facciamo il referendum, dà a chi governa gli strumenti per decidere, per prendere le decisioni, per fare le scelte: per governare per l’appunto. Il sistema opposto condanna alla paralisi, al compromesso, alla mediazione infinita. Non vi possiamo promettere governi buoni. Ma vi promettiamo, questo sì, che colui che sceglierete avrà gli strumenti per governare. Starà poi a voi scegliere bene.

Nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni l’Italia è maggioritaria; in Parlamento è metà maggioritaria e metà proporzionale. Nel complesso un pasticcio che non può funzionare, e dal quale bisogna uscire. Ma attenzione, dopo le ultime elezioni la scena è cambiata. Mentre prima il fronte proporzionalista giocava in difesa e si limitava a frenare, dopo la controriforma elettorale dell’anno scorso è passato all’attacco, ed ha un obiettivo preciso e ambizioso: azzerare tutto e tornare al sistema dei partiti della Prima repubblica, al proporzionale puro.

Casini guida il fronte del proporzionale

Questa strategia ha un leader, un contenuto e un campo di battaglia. Il leader è Pier Ferdinando Casini. L’obiettivo è il grande centro. Il campo di battaglia è la legge elettorale e il referendum. Perché se il referendum vince, Casini ha perso. Se il referendum viene bloccato, Casini vince. Il termine “grande centro” ha molti significati. Da un punto di vista di contenuti può avere significati positivi. Il centro indica una posizione equilibrata, mediana, estranea agli estremismi.

In questo senso di centristi ce n’è una valanga, e io sono tra quelli. Rifuggo naturalmente dai radicalismi, mi considero un moderato. Il clima da guerra civile che da anni domina nella politica italiana non mi piace. Preferirei una battaglia politica fatta di ragionamenti, di proposte concrete, piuttosto che di insulti. Detesto la volgarità cui scendono spesso i politici (molti della Lega vi hanno dato un grande contributo). In questo senso centrismo equivale a moderazione e a civiltà. Magari tornasse in Italia un clima di questo genere.

Ma la proposta politica del grande centro è una cosa diversa. Casini indica anche una linea politica e un programma, e su alcune cose, lo dico subito, sono d’accordo. La sua difesa del- l’Europa è giusta, e lo differenzia nettamente dalla Lega. Ultimamente ha fatto benissimo a votare a favore della missione in Afghanistan, dimostrando una coerenza che è mancata agli altri del centro destra. Ma non sta in queste differenze la sua proposta politica. Perché la vera sostanza del grande centro non è un nuovo programma, ma un nuovo sistema di alleanze.

Casini lavora per un partito, o per una alleanza di partiti, che non si presenti né con la destra né con la sinistra, ma si presenti da sola, autonoma, rifiutando alleanze precostituite, e che solo dopo le elezioni (se non ha i voti per governare da sola) decida con chi allearsi. In questo sta la novità della proposta. E si badi che, rispetto agli ultimi dieci anni, è una novità rivoluzionaria. Perché nelle ultime tre elezioni, 1996, 2001 e 2006, si sono avute due grandi coalizioni che si presentavano con un candidato a premier e con una alleanza precostituita. Ambedue le coalizioni dicevano agli elettori: siamo qua, siamo composti da questi partiti, se vinciamo il premier sarà tizio, non cerchiamo nuove alleanze, vi chiediamo i voti per governare.

L’ultima volta, grazie anche alla infausta legge elettorale che vogliamo cambiare, è successo un gran pasticcio e ha vinto una coalizione un po’ azzoppata, perché al Senato la maggioranza bisogna cercarla col lanternino. Ma le altre volte un vincitore con una maggioranza sufficiente c’è stato, Prodi nel ’96 e Berlusconi nel 2001. E tutti e due hanno governato con la maggioran-za e i parlamentari che gli elettori avevano scelto. Con la proposta di Casini questo schema salta.

Teoricamente un “grande centro” potrebbe avere una sua maggioranza e governare da solo. Ma solo teoricamente. Guardiamo un po’ la realtà italiana. Quali sarebbero i partiti, le forze della società, che entrerebbero nella coalizione centrista? Casini ha certo l’appoggio di Mastella. Mi pare che una operazione di questo genere interessi Rutelli e un buon pezzo della attuale Margherita, da De Mita a Marini. Il gossip della politica attribuisce a Luca di Montezemolo l’intenzione di scendere in campo con questi, e una attenzione al progetto non la ha mai nascosta Mario Monti. Vi sono quindi alcune personalità importanti. Ma potrebbe avere la maggioranza?

L’ipotesi irreale del grande centro

Numeri alla mano, un blocco centrista dovrebbe, oltre a quello che si è detto, mietere gran parte dei voti che oggi fanno capo a Forza Italia e ai Ds. Ma è possibile mettere insieme gli elettori di D’Alema e quelli di Berlusconi? Non scherziamo. L’elettore italiano ormai è bipolare. O di qua o di là. A votare in massa per il centro non ci pensa nemmeno. E Casini, Mastella e compagni lo sanno benissimo. Quindi il loro progetto non è fare un centro che governi da solo. È costruire una forza di media grandezza che dopo le elezioni sia libera di allearsi con la destra o con la sinistra. Ai tempi di Depretis questo si chiamava trasformismo. Craxi lo ingentilì con la politica delle “mani libere” e Andreotti inventò l’aneddoto del “pane che si poteva comprare dai due forni”. Ma la sostanza è rimasta la stessa.

E la sostanza sarebbe un ritorno indietro di vent’anni, la distruzione di tutto quello che abbiamo fatto per dare all’Italia una politica europea, per darci le regole del bipolarismo e dell’alternanza. Sarebbe la cancellazione della stabilità che abbiamo conquistato nei comuni e nelle regioni. La elezione diretta del sindaco e del governatore verrebbe spazzata da un ritorno alla vecchia proporzionale. Se vince la logica che decidono tutto i partiti, perché si dovrebbe permettere che nei comuni, nelle province e nelle regioni decidano i cittadini?

E stai attento, caro amico. Degli anni 80, nei quali ripiomberemmo, ritroveremmo il peggio, il caos e la instabilità, non il meglio, cioè i grandi partiti. Non avremo più una Democrazia Cristiana che arriva al 35%, un partito comunista che sfiora il 30% e un partito socialista che punta al 15%. Il passato non torna. Avremmo una miriade di centri e centrini, una girandola di fusioni e scissioni.

Le prospettive nei prossimi anni

Quello che ancora oggi è una eccezione e per cui ci indigniamo diventerebbe la norma. Perché la politica delle mani libere eregge a sistema il trasformismo e il ribaltonismo. Non prendo impegni con nessuno, non devo rendere conto a nessuno, e quindi mi alleo con chi voglio. Un grande centro di questo genere diverrebbe inamovibile. Si alleerebbe di volta in volta con la destra o con la sinistra, con Fassino o con Fini, ma gli uomini chiave del centro sarebbero sempre gli arbitri della situazione, destinati a rimanere al governo per sempre, qualunque sia il risultato delle elezioni. E come in tutte le attività umane la inamovibilità è deleteria. Il ricambio è salutare, porta alla ribalta facce nuove, fa circolare idee, rompe incrostazioni.

La Dc crollò perché cinquanta anni di potere la avevano ingessata, ed era stata un grande partito con grandi uomini. Te li immagini vent’anni di potere del grande centro che si prospetta? Questo è lo scenario che ci propone la strategia di Casini. Ma per farlo deve cancellare ogni traccia del maggioritario, e soprattutto sbarrare la strada al referendum.

Perché il referendum (ed è per questo che lo abbiamo fatto) dà una spinta decisiva al bipolarismo, anzi ci porta verso il bipartitismo, con un partito dei moderati da una parte e il partito democratico dall’altra. Sul referendum si gioca quindi il futuro del sistema. Chi vuole una Italia europea, con due grandi partiti, ci aiuti. Chi preferisce o si arrende al caos e al frazionismo di oggi è giusto che ci combatta.

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