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QUOZIENTE FAMILIARE E TASSE SOTTO IL 40%. I SOGNI MAI REALIZZATI DEL CENTRO-DESTRA

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(WSI) – Meno tasse per tutti? Dilaniato dallo scontro sulla Finanziaria e a caccia di quattrini, il centrodestra rispolvera la vecchia bandiera della diminuzione delle tasse. Il momento del resto è opportuno: proprio ieri l’Ocse ha diffuso la consueta classifica della pressione fiscale in base alla quale l’Italia nel 2008 scopre con dispiacere di essere salita in un anno dal sesto al quarto posto, superando persino la Norvegia: siamo al 43,2 per cento del Pil. E’ stato il ministro dell’Economia Tremonti ieri a rilanciare il vecchio tema del “contratto con gli italiani”: “Ho cominciato a parlarne con Berlusconi”, ha detto e aggiunto che la riforma sarà rivolta “al lavoro e alla famiglia”.

L’annuncio ha avuto un tono prudente e l’impegno preso da Tremonti è per “fine legislatura”. Ma la base del Pdl preme: non solo per l’Irap ma anche per un taglio dell’Irpef sulla famiglia che al Senato è stato uno dei pilastri della contromanovra Baldassarri che prevedeva non a caso un sostanzioso, quanto costoso, aumento delle deduzioni per moglie e figli fino a 5.000 euro.

La parola d’ordine a Via Venti Settembre è: ripartire dal programma. E lo staff di Tremonti è già al lavoro, anche se il varo non è imminente. Nel programma del Pdl il meccanismo c’è: si chiama “quoziente familiare”, è simile al sistema francese, è fortemente sponsorizzato dall’ala cattolica del centrodestra e lo stesso Berlusconi di tanto in tanto lo evoca. Si tratta di dividere il reddito del capofamiglia per il numero dei componenti ed in questo modo abbattere l’imponibile su cui calcolare l’aliquota. Peccato che il sistema costi dagli 8 ai 30 miliardi secondo le varie combinazioni. Inoltre penalizza i redditi più bassi, i single e scoraggia il lavoro delle donne.

In tempi lontani, il 20 dicembre del 1994, in vista della caduta del primo governo Berlusconi, Tremonti consegnò a futura memoria un celebre “Libro bianco”: tre aliquote, federalismo e otto tasse fondamentali. Oggi i tecnici delle Finanze neanche riescono a trovare le risorse per un taglio dell’Irap. Del resto anche nel 2001-2006 a Berlusconi non riuscì la quadra e delle due aliquote alla Bush – 23 e 33 per cento – che aveva promesso, resto ben poco. I due moduli di riduzione, da una dozzina di miliardi, furono assai sofferti, costarono il “cartellino rosso” della Ue per aver sforato il deficit, e alla fine le cinque aliquote furono ridotte appena a quattro: lo sgravio finale fu in media del 2,1 per cento. “Avrei osato di più ma non ho il 51 per cento”, disse Berlusconi il 9 novembre del 2004 quando ormai la battaglia con Fini, che frenò lo spericolato progetto iniziale, era persa.

Fin qui la storia. Ma oggi il piatto delle tasse piange. L’unico intervento è stato quello che ha portato alla completa cancellazione dell’Ici dalla prima casa, lo scorso anno: ma la strada era già stata aperta dal governo Prodi con una manovra più prudente. In verità l’Irap, nonostante gli annunci di Berlusconi, sembra avere ben poche possibilità nel passaggio della Finanziaria alla Camera: tant’è che ieri il relatore Gianfranco Conte non ha posto il taglio della tassa regionale tra le priorità.

Dunque: nessuna fuga in avanti. Del resto, probabilmente preso da altre questioni (la crisi e le richieste dei ministri di spesa) Tremonti ha persino rinunciato a modificare la miniriforma fatta dall’eterno avversario Visco durante il governo Prodi: ha lasciato intatto il sistema riportato a cinque aliquote (43 per cento oltre i 75 mila euro), non ha reintrodotto le deduzioni (suo cavallo di battaglia contro le detrazioni preferite dal centrosinistra), e ha persino lasciato in vita la tassa di successione. E il programma del Pdl promette di ridurre la pressione fiscale sotto il 40 per cento entro il 2013.

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