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Quirinale e Palazzo Chigi si rimpallano la manovra. Tremonti isolato. Berlusconi furioso

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(WSI) – «Adesso basta, la partita la gestiamo noi». È metà pomeriggio quando il presidente del Consiglio Berlusconi lascia Villa Certosa prima di volare verso Arcore. Il Quirinale incalza, chiede chiarimenti, correttivi, sebbene non per iscritto. E il mandato che il premier conferisce al telefono a Gianni Letta sa di esautorazione del ministro dell´Economia Tremonti, finora regista unico della manovra da quasi 25 miliardi di euro.

Per tutta la giornata, d´altronde, i contatti dell´ufficio giuridico del Colle vengono tenuti direttamente con Palazzo Chigi, con lo stesso Letta e con i tecnici del ministero di via XX Settembre. Non con il ministro, però. Lavorio di limatura, ma anche di riscrittura concordata di parti del testo, andato avanti fino a tardi. Finché in serata il governo non ha inviato la manovra rivista e corretta secondo le indicazioni della Presidenza della Repubblica. Troppo tardi, tuttavia, per consentire al Quirinale un ultimo ma necessario controllo del testo che Napolitano effettuerà stamattina, prima di firmarlo e consentirne la pubblicazione in Gazzetta.

Osservazioni accolte, dunque. Al danno di immagine derivato da un parto lungo e logorante del testo, il premier Berlusconi non ha voluto sommare la beffa di una stroncatura dal Colle. Ma i rapporti tra Berlusconi e Tremonti, nelle ultime 48 ore, sono tornati tesissimi. Ai pochi fidati consiglieri sentiti nella giornata festiva, il capo del governo ha continuato a ripetere che la stretta finanziaria ha già scatenato «troppi malumori, troppe proteste» in seno alla stessa maggioranza. Tra leghisti preoccupati per il federalismo a rischio, finiani sul piede di guerra e industriali scettici.

D´altronde, lo strappo consumato sabato sera è sintomo del clima deterioratosi in questo week-end ad alta tensione. Il comunicato di fuoco con il quale, a sorpresa, il ministro della Cultura e coordinatore del partito Sandro Bondi si è scagliato contro i tagli «indiscriminati» operati dal collega Tremonti è stato preceduto da una lunga telefonata del fedelissimo ministro allo stesso Berlusconi. E dunque proprio dal premier sarebbe scattato il via libera per quel j´accuse che Bondi, del resto, non avrebbe mai osato senza il conforto del suo leader.

Come se non bastasse, quando da Palazzo Chigi è stata pubblicata ieri pomeriggio la nota sui chiarimenti attesi dal Quirinale, è stato anche sottolineato, non a caso, che «i contatti con il Colle sono tenuti in queste ore dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta». Non da altri, sottinteso. E tanto è bastato per lasciar intendere quanto fosse «isolato» (Lega a parte), per il momento esautorato, il superministro dell´Economia.

Berlusconi ha fretta. Avrebbe preferito che la firma del presidente Napolitano fosse arrivata già ieri, per consentire stamattina la pubblicazione sprint della manovra correttiva in Gazzetta Ufficiale. In tempo per l´apertura di Piazza Affari e per inviare un segnale positivo ai mercati finanziari. In tempo si farà ugualmente, perché l´ultimo controllo del Quirinale sarà rapido e, salvo sorprese, la pubblicazione avverrà comunque in poche ore, ragionavano in serata negli uffici della Presidenza della Repubblica.

Del resto, se il testo approvato in Consiglio dei ministri martedì scorso è stato spedito solo sabato al Colle, non è responsabilità di altri se non del governo. E poi, il presidente Napolitano non è mai stato – né tanto meno lo sarebbe stato in questa fase così delicata – un semplice notaio. Preso atto che nella manovra non vi è traccia del ventilato condono, risolto a quanto pare positivamente il nodo del taglio agli stipendi dei magistrati – oggi Gianni Letta incontrerà e rassicurerà i vertici dell´Anm – il capo dello Stato ha preferito non mettere per iscritto i propri rilievi.

Ma li ha comunque «girati» alla Presidenza del Consiglio. A cominciare da una serie di incongruenze tecnico-giuridiche. Per entrare quindi nel merito di quei «tagli indiscriminati» a enti di ricerca e culturali in alcuni casi simbolo dell´identità nazionale e della stessa Unità d´Italia, dunque insostenibili, tanto più alla vigilia della celebrazione del 150´ anniversario.

Insostenibili come quelli sulla scuola e sulla ricerca che penalizzerebbero formazione e mondo giovanile, settori sui quali, al contrario, il Quirinale ha raccomandato più volte di investire con maggiore coraggio. Le correzioni alla fine sono state accolte. Su tanto altro, preannunciano i dirigenti del Pdl, da Gasparri a Napoli, si interverrà comunque in aula. Ma il testo che arriverà in Parlamento lascia piuttosto freddo Pier Ferdinando Casini, pur disponibile al dialogo, come lascia intendere il suo braccio destro Roberto Rao: «Non c´è stato alcun coinvolgimento, non hanno avuto il coraggio di dire che la casa brucia, né di assumersi le loro responsabilità. Se è così, tanti auguri».

Articolo di Carmelo Lopapa – La Repubblica

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Braccio di ferro con Napolitano il governo riscrive il decreto

Rilievi su statali, ricerca, cultura. Niente condono edilizio. Stamattina la firma del Colle. Timori per la reazione dei mercati

di LUISA GRION – La Repubblica

ROMA – Il Quirinale non ha ancora firmato chiedendo precisazioni, la manovra è rimasta al palo, ma Palazzo Chigi, dopo una giornata di pressante lavoro per fornire alla Presidenza della Repubblica le risposte ai rilievi avanzati, ieri sera ha già rinviato il testo al Colle. La Finanziaria, ha vissuto altre ore appesa a un filo: l´atteso «via libera» che il governo attendeva non c´è stato, anzi il Presidente Giorgio Napolitano, esaminando il testo, nel pomeriggio aveva fatto «osservazioni su delimitati aspetti di sostenibilità giuridica e istituzionale del provvedimento», pur precisando che la responsabilità degli indirizzi e delle scelte di politica finanziaria, sociale ed economica spetta al governo.

Una richiesta di approfondimenti che l´esecutivo aveva subito accolto, assicurando che le risposte sarebbero arrivate al più presto: in tempo per garantire, dopo la firma del Quirinale, la pubblicazione immediata del testo in Gazzetta Ufficiale. Detto fatto, la nuova versione è già approdata al Colle per la firma.

La consapevolezza che non vi sia altro tempo da perdere accomuna, di fatto, Palazzo Chigi e la Presidenza, entrambi convinti che non sia buona cosa arrivare oggi all´apertura dei mercati finanziari con una manovra ancora in stallo. Ecco quindi che per tutta la serata di ieri fra governo e Quirinale vi sono stati continui contatti, accertamenti e verifiche coordinati dal sottosegretario a Palazzo Chigi Gianni Letta, in continuo contatto con Berlusconi in Sardegna.

Il clima, hanno fatto sapere entrambe le parti, è sereno e riferibile ad un normale dialogo fra istituzioni. C´è la comune convinzione che la partita vada chiusa con rapidità, anche se ciò non vuol affatto dire che i nodi siano tutti di facile soluzione.

Alcuni dei motivi di possibile scontro fra Quirinale e governo sono già caduti: nella manovra non ci sarà la sanatoria sugli immobili che al Colle, si sa, non piaceva. Non ci sarà la riduzione delle province, non ci saranno nemmeno i tagli alla magistratura ventilati nel testo originario e contro i quali le toghe avevano chiesto l´intervento di Napolitano. Sono rimaste diverse misure, ma decisamente ammorbidite.

Restano però aperte altre importanti questioni: sembra infatti che le preoccupazioni del Quirinale siano volte ai tagli previsti in manovra per gli stipendi degli statali – e in particolare degli insegnanti – e ai provvedimenti sulla ricerca che, se confermati, sarebbero particolarmente penalizzanti per i giovani. La tagliola che l´esecutivo vorrebbe alzare sui beni culturali e sui comitati per le celebrazioni, lascerebbe perplesso Napolitano.

Non di secondaria importanza sarebbero poi alcuni aspetti “formali”: pare infatti che nella prima versione della manovra vi fossero diversi errori nei rimandi agli articoli o nella compilazione dei testi. Inoltre alcuni rilievi mossi dal Quirinale riguardavano parti del testo prive del criterio di necessità e urgenza richiesto ai decreti. L´ipotesi ventilata è che tali norme possano rientrare in altri disegni di leggi collegati al decreto. Potrebbe essere il caso, per esempio, della riforma delle province, ma fra gli articoli in bilico ci sarebbero anche quelli che riguardano le fondazioni bancarie o l´accorpamento fra Inail e Inps. La firma del Quirinale è comunque attesa per stamattina

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“È pervenuto domenica sera al Quirinale il testo definitivo del decreto cosiddetto anticrisi trasmesso dal governo dopo l’esame dei rilievi e delle sollecitazioni formulate dal presidente della Repubblica. Il capo dello stato, nel prendere atto degli intendimenti manifestati di dare seguito alle indicazioni da lui prospettate, dopo una rapida verifica del testo provvederà nella mattinata di lunedì alla emanazione del provvedimento”.

“In precedenza il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva espresso alcune osservazioni al Governo sul decreto che contiene la manovra economica e che era stato sottoposto sabato alla sua attenzione. Su questo poi sono cominciati chiarimenti e approfondimenti col Governo. I tecnici dell’esecutivo per tutta la giornata di sabato si sono messi al lavoro nel quadro di un dialogo sereno e normale tra istituzioni”.

I contatti con il Quirinale sono stati tenuti dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta. L’obiettivo del governo era che il capo dello Stato potesse essere messo nelle condizioni di fare le sue valutazioni sul testo ai fini di una firma in tempi rapidi del decreto, con la sua pubblicazione in gazzetta ufficiale possibilmente sempre entro lunedì. Il capo dello Stato aveva avanzato e rimesso alla valutazione dell’esecutivo una serie di osservazioni su delimitati aspetti di sostenibilità giuridica ed istituzionale del provvedimento. Tutto ciò fermo restando che l’esecutivo aveva ed ha l’esclusiva responsabilità degli indirizzi e del merito delle scelte di politica finanziaria, sociale ed economica. Alcuni media domenica mattina hanno ipotizzato che il presidente della Repubblica avesse chiesto al governo di stralciare dal decreto quegli aspetti della manovra da circa 25 miliardi che non abbiano effetti immediati di cassa, per riassemblarli in uno o più disegni di legge.

Il capo dello Stato aveva avanzato e rimesso alla valutazione dell’esecutivo una serie di osservazioni su delimitati aspetti di sostenibilità giuridica ed istituzionale del provvedimento. Tutto ciò, si fa osservare negli stessi ambienti, fermo restando che l’esecutivo ha l’esclusiva responsabilità degli indirizzi e del merito delle scelte di politica finanziaria, sociale ed economica. Alcuni media hanno ipotizzato che il presidente della Repubblica possa chiedere al governo di stralciare dal decreto quegli aspetti della manovra da circa 25 miliardi che non abbiano effetti immediati di cassa, per riassemblarli in uno o più disegni di legge.

Fino ad oggi Giorgio Napolitano aveva sempre firmato senza tentennamenti tutti i decreti legge presentati dal governo Berlusconi, anche quelli che avrebbero richiesto fermezza legale, morale e costituzionale. Stavolta e’ sucesso qualcosa di diverso. Il Quirinale negli ultimi anni ha avallato l’ipersviluppo della legislazione ad personam, ponendo ogni DL in una sorta di “fast track” e tollerando l’assenza dei dibattiti in Parlamento e l’approvazione di ogni istanza proveniente da Palazzo Chigi a suon di voti di fiducia, cioe’ il sistema meno trasparente e meno democratico.

Stavolta il presidente della Repubblica (ex comunista ancora con la voglia di emanciparsi del tutto) ha mostrato un ultimo tardivo sussulto di dignita’ personale e costituzionale. Dopo aver firmato in passato obbrobri anti-democratici e certamente anti-costituzionali come il Lodo Alfano e il “legittimo impedimento”, domenica pomeriggio ha chiesto “alcuni chiarimenti” al governo su alcuni punti specifici della manovra.

All’inizio non si sapeva di quali punti si trattasse (“delimitati aspetti di sostenibilità giuridica ed istituzionale del provvedimento”) ma certo lo scottante dossier che doveva essere sul tavolo del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, visto che la manovra era “Powered by Tremonti”, e’ invece stato esaminato solo dai tecnici del Tesoro, e non dal ministro dell’Economia. Il premier aveva dovuto ingoiare nei giorni scorsi lo sgradito malloppo suo malgrado, sapendo che incidera’ negativamente sulla sua popolarita’ personale, sul consenso e in futuro sul serbatoio voti del PDL, visto che la manovra di fatto aumenta le tasse e colpisce la classe media gia’ tartassata, senza invece incidere sui tagli di struttura e sui privilegi della casta, ne’ incentivare la crescita. qundi con il Quirinale Berlusconi ha lasciato trattare Gianni Letta, mentre Tremonti isolato e’ restato a bordo campo. Finira’ come Siniscalco, il precedente ministro del Tesoro costretto a dimettersi?

Dalle prime indiscreziini, a cadere potrebbero essere le norme che non hanno carattere di necessità e urgenza. C’è ad esempio una norma interpretativa sulle Fondazioni Bancarie, che attribuisce poteri di controllo al Tesoro anche sulle Fondazioni che controllano una banca, che proprio perché «interpretativa» non può finire in un decreto legge. Ma potrebbero essere stralciate norme che incidono su valori considerati importanti, come la memoria storica e culturale, uno dei valori fondanti di una nazione. Così potrebbe saltare il blocco dei flussi verso enti e istituzioni di carattere storico e artistico, o ad alcuni comitati per le celebrazioni (proprio nel momento in cui si avvicina il 150 anni della Repubblica). Sono quelli su cui più si sono alzate le proteste, insieme agli enti di ricerca su cui non sono esclusi stralci.

In forse anche l’accorpamento degli enti previdenziali in Inail e Inps: è una norma che ha effetti economici sui quali non è escluso che possa essere consigliato un confronto giuridico con tempi più ampi. Tra le misure in forse ci sono quelle che incidono sulla magistratura: l’Amn, che ha scritto al presidente della Repubblica e oggi parla di norma «iniqua, sperequata e incostituzionale», domani incontrerà Gianni Letta. In bilico anche la riduzione lineare del 10% prevista sui compensi per i componenti degli organi di di autogoverno, e anche in questo caso sono compresi quelli della magistratura. Non è escluso che la riflessione possa estendersi al taglio previsto su tutti i dirigenti, oppure sulla norma che consente di trasferirli ad un altro incarico «anche di valore economico inferiore».

La manovra non perderà i muri portanti. Il valore economico rimarrebbe sostanzialmente immutato. Non vengono toccate le misure di risparmio sul pubblico impiego (il congelamento triennale delle retribuzioni pubblica) e sulla politica (i tagli previsti per i ministri, i loro collaboratori e anche i dirigenti), le norme di lotta all’evasione (dal redditometro alla tracciabilità) e quelle sullo sviluppo, come la possibilità per le regioni del Sud di azzerare l’Irap per le nuova imprese o le zone a burocrazia zero.

Ieri le parole del premier avevano dato vita all’ennesima frizione con Napolitano. Prima Berlusconi aveva annunciato che il testo “non firmato” della manovra economica era al Quirinale “in attesa della valutazione del capo dello Stato”. Poi una nota di palazzo Chigi aveva corretto il tiro, affermando che la manovra era “già” stata firmata dal presidente del Consiglio.

Berlusconi e Napolitano si erano visti venerdì scorso al Quirinale. Durante il colloquio, però, il Cavaliere aveva ammesso di non aver avuto ancora il modo di conoscere il provvedimento nella sua totalità, sottolineando il fatto che sarebbe stato il ministro dell’Economia Giulio Tremonti in prima persona a portarlo avanti.

BONDI – Anche se il decreto legge sulla manovra deve ancora essere approvato dal capo dello Stato non mancano già le critiche al provvedimento. Ad incominciare dalla maggioranza che quello stesso provvedimento sarà presto chiamata ad approvare in Parlamento. «Avrei voluto che la decisione sugli enti a carattere culturale fosse stata presa insieme, il Ministero dei beni culturali non doveva essere esautorato» sottolinea il ministro della Cultura Sandro Bondi.

«Io sono in totale sintonia con Tremonti sulle motivazioni che muovono la manovra, per le difficoltà in cui si muove il paese e la necessità di tagli coraggiosi. Molti degli enti che figurano in quell’elenco – aggiunge Bondi – vanno soppressi, ma alcuni come il Centro sperimentale di cinematografia, la Triennale di Milano, il Vittoriale, non possono in nessun modo essere considerati lussi». Quanto al fatto che il ministero sarebbe stato tenuto fuori dalla scelta, Bondi aggiunge: «Avrei voluto decidere insieme: il ministero non doveva essere esautorato. Ora mi metterò al lavoro con i miei collaboratori per capire quali di quegli enti sono eccellenze e quali sono inutili. Ma la scelta va fatta insieme».

I FINIANI – «Se un esponente autorevole del Pdl e del governo come Sandro Bondi dice di non aver saputo e di non condividere i tagli alla Cultura significa che c’è qualcosa di serio che non va», afferma Italo Bocchino esponente della corrente finiana del Pdl alla Camera e Presidente di Generazione Italia. «Da un lato – aggiunge Bocchino – è impensabile tagliare risorse al bene più prezioso del nostro Paese, risorse che si potrebbero recuperare abolendo cose inutili e non strategiche come il Pra, l’agenzia dei segretari comunali o l’Unire, dall’altro è grave che il coordinatore del primo partito della maggioranza, nonchè ministro, non fosse stato avvertito e consultato. Siamo dinanzi all’ennesima prova della necessità di una maggiore collegialità nelle scelte politiche del Pdl».

IDV – Di tutt’altro parere alcuni degli esponenti dell’opposizione. «È una manovra “lacrime e tagli” e basta. Mancano completamente idee per il rilancio dell’economia e interventi strutturali. A pagare saranno sempre gli stessi, mentre speculatori e grandi rendite improduttive non vengono toccate. Il balletto sulla firma dimostra anche il grado di confusione di questo governo, che sempre ha negato l’esistenza stessa della crisi e ora si trova a doverla fronteggiare senza essere preparato. Se non fossero stati così irresponsabili, oggi il Paese si troverebbe in condizioni diverse » afferma il capogruppo Idv Massimo Donadi.

I CONTENUTI – Intanto si cerca di fare chiarezza sui contenuti del provvedimento. La norma che prevede la cancellazione delle province inferiori ai 220 mila abitanti non è più contenuta nel testo della manovra economica. L’articolo 5 della manovra, quello contenente le misure per le «Economia negli Organi Costituzionali, di governo e negli apparati politici» non conterebbe più – secondo quanto riportano fonti tecniche – i commi da 12 a 17 con i quali si prevede la soppressione delle mini-province. L’ipotesi più probabile è ora quella dell’inserimento della norma nel testo della Carta delle Autonomie ora in discussione alla Camera.

Tra le misure modificate prima dell’invio al Colle c’è sicuramente anche la modifica del criterio di rateizzazione della Buonuscita (il Tfr) dei dipendenti pubblici in tre tranche: ora scatterebbe solo per gli importi più alti, lasciando di fatto fuori dal meccanismo «a singhiozzo» i travet ma non i dirigenti. Il complesso cammino normativo della manovra potrebbe però vedere anche altre modifiche, prima che il testo approdi sulla Gazzetta Ufficiale. In particolare potrebbero essere stralciate, perchè prive del criterio di necessità ed urgenza dei decreti, alcune norme ordinamentali. Le norme, ovviamente, rivivrebbero in altri testi, non è escluso in un disegno di legge «collegato» razionalmente con il decreto. Così, tra l’altro, non dovrebbe esserci un impatto sull’entità della manovra.

Tra le norme in bilico, tra decreto e ddl, c’è ad esempio l’accorpamento degli enti previdenziali in Inps e Inail. È una norma ordinamentale ma ha un impatto economico e quindi potrebbe rimanere nel decreto. Più incerti sono invece altri articoli: quello sulla creazione di zone a «burocrazia zero», o sulla «fiscalità del Sud» – che consentirebbe di azzerare l’Irap sulle nuove imprese – così come la norma interpretativa sulla fondazioni bancarie. Non è escluso, poi, che possano prendere una strada diversa anche i ‘taglì previsti per alcuni enti pubblici, per consentire al Parlamento di valutare le norme con maggior tempo e attenzione.

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Manovra, il giallo della firma, tensione premier-Quirinale

Sfiorato lo scontro diplomatico. Berlusconi: “Il mio ok dopo il Colle”, ma poi arriva la retromarcia di Palazzo Chigi

di CARMELO LOPAPA

ROMA – Le ultime scintille sulla manovra “lacrime e sangue” si accendono nella notte tra venerdì e sabato. Lo staff di Tremonti da un lato, quello del sottosegretario Letta dall’altro. Il ministero dell’Economia costretto, nelle battute conclusive, a tornare sui propri passi sulle sforbiciate agli stipendi dei magistrati e al finanziamento ai partiti (ridotto al 10 per cento), come sul condono dei presunti 2 milioni di alloggi fantasma. Tutt’altro che dettagli per Palazzo Chigi, il premier Berlusconi vuole spuntarla. E alla fine il suo plenipotenziario Letta sembra farcela. Ma sono ore in cui in cui torna a salire anche la tensione col Quirinale e non solo per una questione di tempi.

Il decreto da 24 miliardi di euro parte alla volta del Colle con un ritardo che ha già creato imbarazzi, dato che il testo, in teoria, il Consiglio dei ministri lo aveva approvato martedì. “La verità? In quella seduta lo abbiamo dato per approvato, “salvo intese” come si dice in gergo, lasciando di fatto carta bianca a Giulio” raccontava ancora ieri un ministro pidiellino. Gli uffici del presidente Napolitano attendono, chiedono lumi sulle misure solo abbozzate, richieste che sono dubbi. Fatto sta che, stretto tra l’intransigenza sui conti di Tremonti e l’attesa del Quirinale, il premier Berlusconi lascia Palazzo Grazioli alla volta di Porto Rotondo poco prima delle 10 abbastanza stanco, stressato. Come se non bastasse, ci sono anche i finiani già al lavoro su alcune “correzioni” da apportare al testo. Saranno emendamenti “aggiuntivi”, dei quali Gianfranco Fini – perplesso su alcuni aspetti – ha iniziato a parlare con il “suo” Mario Baldassarri, presidente in commissione Finanze al Senato.

Sta di fatto che il Cavaliere parte salutando i cronisti con una gaffe pacchiana: “La manovra sarà firmata quando il Colle darà la sua valutazione”. Un’anomalia, dato che la sua firma su quel provvedimento doveva essere stata apposta (sempre in teoria) in Consiglio dei ministri cinque giorni fa. Gli uffici del Quirinale non mancano di far notare l’irritualità di quanto dichiarato e, su input del solito Letta, poco dopo le 13.30 arriverà la nota di Palazzo Chigi che correggerà il tiro: “Il premier ha già firmato”. Qualcuno, come il finiano Briguglio, dà all’accaduto una lettura politica: “Il presidente, per difendere il suo primato da Tremonti, ha dovuto trasformare la sua firma da atto burocratico in una sorta di sigillo reale”. Altri, i berlusconiani, lasciano trapelare l’insofferenza ormai palese per la prassi della limatura dei decreti con l’ufficio giuridico del Colle. “Senza polemica, ma stiamo assistendo al progressivo passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale” fa notare il vicecapogruppo Pdl Osvaldo Napoli. Al Colle, incuranti delle polemiche, lavorano sulla manovra, riflettori puntati sul condono più o meno mascherato. Consapevoli che questa non è più la fase della moral suasion, ma quella in cui ognuno dovrà assumersi la propria responsabilità. Sarà un esame rapido, domani riaprono i mercati.

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(in fase di scrittura)