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QUANTO DURA BERLUSCONI

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Gli opportunisti, dunque il partito più forte, si guardano intorno smarriti e si domandano: dura o non dura, ce la fa o non ce la fa? I pistaioli, il secondo partito italiano, fanno i conti con il calendario della Cassazione, con la Corte costituzionale, con il lodo Maccanico e la sentenza Previti e il distacco del giudice Brambilla. Poi c’è il bailamme nell’economia, e banchieri di sinistra (la maggioranza) e industriali di ogni tipo e confindustriali di ogni tipo fanno la danza della pioggia: cade o non cade?

Poi c’è la politica romana, partiti della maggioranza e correnti e sottocorrenti, gruppi a geometria variabile che si coalizzano con pezzi dell’establishment in battaglie particolari, coinvolgono tortuosamente la Banca d’Italia, sperano nel solito giudice a Berlino per sistemare pendenze e rancori, coltivano e provocano nuove inimicizie, sospetti, veleni, aspettative apocalittiche di ogni ordine e grado.

E l’opposizione, anzi le opposizioni, non è, non sono, da meno: alcuni si comportano come fossero già al governo, pensano che stavolta c’è ogni bendiddio da distribuire alle generazioni più recenti di un centrosinistra da leggenda, altri organizzano il loro pessimismo diffidente sotto lo sguardo lemme lemme di Romano Prodi e rinfocolano la guerra dei capi senza fine che già portò alla crisi terminale del primo Ulivo, l’unico che fino a oggi si conosca.

Non è un grande spettacolo. Anzi, è uno spettacolo penoso. Ma se si levi la testa e l’attenzione oltre quello che passa il convento, l’analisi della situazione politica dà altri risultati.

Su due previsioni nessuno può giurare: che la situazione esca dalla mediocrità, che il governo riassuma un aspetto umano, politicamente credibile, che cessi la piccola rissa generale e proceda verso le elezioni tra due anni e mezzo con un assetto politico chiaro; dall’altro lato, che l’opposizione trovi davvero un leader e un’identità, che questo leader non sia una minestra riscaldata bensì qualcuno capace di riscaldare i cuori e raffreddare le menti, delineando una vera alternativa, e seria, in politica estera e sul piano delle riforme e della crescita economica sulla scia della prevedibile e prevista ripresa americana. Due scommesse impossibili.

Non resta che interrogarsi sul peggio, visto che il meglio latita. Fate questo gioco, ché in fondo in fondo l’elemento ludico è il cuore della politica. Pensate allo scenario più fosco. Un’esternazione intollerabile di Umberto Bossi o una provocazione politica di Gianfranco Fini o dell’Udc, o un imbizzarrimento devastante di una personalità forte del governo, un Giulio Tremonti per esempio, o un agguato possente di franchi tiratori, o un azzoppamento giudiziario duro del premier, e dunque una crisi incontrollata, come si diceva una volta “al buio”.

Di che cosa discuteranno i crisanti, la maggioranza provvisoriamente dissolta? Avranno stimoli per dividersi e staccare una cedola buona per alcuni tra loro? Per esempio un governo tecnico magari con Antonio Fazio (che è tirato in ballo incolpevole), un governo istituzionale, un governo del presidente della Repubblica come accadde con Lamberto Dini? Ci sono, come si dice, le condizioni politiche? C’è un Quirinale alla Scalfaro, deciso a tutto pur di far fuori il vincitore delle elezioni abbindolandolo con una promessa elettorale e imponendogli di fare il nome di un “suo” uomo per la successione, come avvenne nel ’94?

C’è quel particolare clima, e quella disponibilità univoca delle opposizioni tutte all’abbattimento a ogni costo del tiranno, che si determinò nel ’94? Ci sono opportunità di politica estera o economico-finanziaria per giustificare un altro piccolo delitto contro le regole della democrazia?

Se interrogate opportunisti, pistaioli, congiurati di vario conio e anche galantuomini indipendenti, purché sappiano qualcosa di politica, vi risponderanno che tutti questi elementi non ci sono, che l’Italia è strana e su un terreno quasi fradicio quasi tutto può maturare, ma non tutto, e quella previsione di un nuovo ribaltone, comunque mascherato, è impossibile da prendere sul serio. E allora?

Resta il nulla della situazione politica attuale. Liti senza altro possibile sbocco se non mediocri riaggiustamenti d’immagine. L’alternativa, anche nel caso di gioco più fosco, la crisi travolgente e incontrollata, è solo la convocazione dei comizi elettorali. Ma il gioco non prevede la variante personale, la leadership personale. In queste situazioni bisogna che i capi, e soprattutto il capo, abbiano sufficiente esperienza e coraggio e abilità e consiglio per capire come stanno le cose, e rimediare con gesti d’imperio collegati a un serio negoziato.

Riportare l’ordine imponendo una pace contrattata, questo è il dovere di un leader democratico quando l’ordine politico non può essere rovesciato ma può ben essere consumato, corroso e avvilito da una strascinata e generica anarchia. Tutte le domande sul Cav. e sulla sua durata sono appese a questo: infallibile nelle battaglie esistenziali, e in certe scelte d’istinto, il premier è debole nell’agenda politica, nella capacità di fissare il tempo e il ritmo di una coalizione. Sta a lui, quindi, riuscire o fallire. E il gioco è fatto.

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