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QUANDO LA GUERRA NON E’ PIU’ UN’OPINIONE

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Finché la guerra è presentata come un’opinione, ciò che incredibilmente è accaduto nel grande circo mediatico di questi mesi, si può dire e ridire: “Io non voglio la guerra”, e prendersela con chi “vuole la guerra”. Ma quando la guerra ridiventa un fatto ed è sottratta alla volatilità della diplomazia, come sta succedendo in queste ore, le cose cambiano e bisogna prendersi la responsabilità di dire se si è con gli alleati, con Saddam o in una posizione di neutralità.

Questo giornale è stato piuttosto chiaro fin dall’inizio della storia, è stato chiaro fin dal 10 novembre del 2001, a due mesi dalle stragi di Manhattan e di Washington, quando ha ottenuto che la bandiera americana sventolasse in una piazza romana invece di essere bruciata mentre Ground Zero ancora fumigava. E’ stato chiaro il 15 aprile del 2002, quando ha concorso a organizzare una magnifica giornata in difesa di Israele, paese aggredito dal terrorismo suicida e accusato di militarismo e crimini contro l’umanità per aver esercitato il diritto all’autodifesa. E’ stato chiaro l’estate scorsa, pubblicando il saggio di Robert Kagan sulla disunione occidentale. E’ stato chiaro la settimana scorsa, anticipando di un paio di giorni un bel lead dell’Economist e chiedendo che finisse subito la farsa alle Nazioni Unite.

Vorremmo che fossero chiari anche gli altri. Il Corriere della Sera e la Repubblica, per esempio, hanno preso posizione contro questa guerra. Presumiamo che sia importante per i loro lettori (noi compresi) fare il passo seguente: comunicare se si sta da una parte, dall’altra o da nessuna parte. La scelta di stare dalla parte della pace è stata relativamente facile.

In linea generale anche noi siamo dalla parte della pace e speriamo perfino che qualche buon amico di Saddam riesca a convincerlo che è venuta l’ora per lui di mollare la presa del terrore sul suo popolo e sui vicini di casa. Ma nella vita non tutte le scelte sono così facili. Ce n’è di più complicate, quando la densità dei fatti sopravanza la volatilità delle opinioni.

Il Financial Times ha detto che, senza una seconda risoluzione delle Nazioni Unite, non avrebbe appoggiato questa guerra. I blairiani alle vongole di casa nostra si sono rifugiati sotto la sua ala. Molti hanno scherzato con il sacro fuoco dell’Onu, e ora si scottano le dita.

Monsignor Renato Martino dice che chi ha voluto questa guerra è un criminale. Per rispetto della Chiesa e della sua intelligenza delle cose, vogliamo pensare che si riferisca a Saddam Hussein. E ci leggiamo le parole censurate del Papa, che è contro questa guerra ma parla dell’uso della forza come ultima risorsa, ultima ma risorsa, e riconosce che “non si può chiedere la pace ad ogni costo”. E rimastichiamo l’omelia recente e censurata dell’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, che ha ammonito: la pace non è assenza di guerra, ma libertà e in ispecie libertà dal terrore.

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