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Quale crisi nelle casse delle Regioni: in 2011 830 mln per Giunte e Consigli

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Roma – Ottocentotrenta milioni di euro. È la cifra uscita nel 2011 dalle casse delle Regioni per finanziarie le spese degli «organi istituzionali», cioè Giunta e Consiglio: una somma, per dare l’idea, analoga a quella che ogni anno le 20 Regioni italiane dedicano al turismo e all’industria alberghiera, e doppia a quella impegnata per la promozione della ricerca scientifica o dell’artigianato. Da sola, la politica regionale assorbe il 40% in più di quella dei Comuni, che però sono 8.094.

È in un mare come questo (i numeri si riferiscono solo alle spese dirette) che si è potuta sviluppare la «catastrofe» evocata ieri dal presidente della Regione Lazio Renata Polverini. Tra «vacanzone» in Costa Smeralda, ostriche e viaggi, la Pisana occupa ora il centro della cronaca. I numeri, però, offrono un segnale poco rassicurante: in fatto di spesa per la politica, la Regione Lazio è solo quinta in valore assoluto, e scende addirittura al 13esimo posto con il calcolo pro-capite. Restando nelle regioni più grandi, la Sicilia per i propri «onorevoli» (lì i consiglieri regionali si chiamano così) ha speso quasi 168 milioni, il triplo del Lazio, drenando per questa via più di 3mila euro ogni 100 abitanti.

Un dato, quello palermitano, frutto di un doppio record, nell’affollamento in consiglio (90 persone) e nelle indennità: 5.390 euro netti mensili più 4.187 di rimborsi minimi per il consigliere “semplice”, e 10.294 (sempre netti) più 3.841,6 di rimborsi per il presidente (i dati in questo caso sono della conferenza dei presidenti dei consigli regionali). Oltre a Valle d’Aosta, Molise e Basilicata, dove il dato pro capite è influenzato anche dalle dimensioni ridotte della Regione, anche la Calabria (2.491 euro ogni 100 abitanti) e la Campania (1.178) si rivelano più allegre di Roma, mentre Puglia, Toscana e Lombardia occupano il podio delle istituzioni meno “pesanti”.

Con disponibilità come queste, non ci vuole troppo ad alimentare «l’alluvione di Firenze» della spesa allegra di cui ha parlato ieri la Governatrice del Lazio. Le indennità di base nelle regioni, si sa, sono generose, ma offrono un valore puramente indicativo perché quasi nessuno si ferma alla carica di consigliere-base: la politica regionale è un esercito di generali. La prima via per distribuire le stellette, con relativa indennità aggiuntiva, è quella della moltiplicazione dei gruppi, e quindi dei capigruppo.

La mozione discussa ieri alla Pisana mette nel mirino i 7 gruppi con un solo componente (senza contare il «misto»), ma per esempio in una regione più piccola come le Marche, con poco più della metà dei consiglieri rispetto al Lazio, i «monogruppi» sono 8. Anche dove l’indennità aggiuntiva non c’è, i monogruppi moltiplicano le spese di segreteria e gestione dell’attività. Il record? Il Molise, dove i 10 gruppi da uno abbracciano un terzo dei consiglieri, e lo stesso Michele Iorio, oltre che governatore, è capogruppo di sé stesso.

Un altro modo per produrre presidenti e vice è quello delle commissioni, permanenti o speciali. Anche qui la mozione-Polverini ha provato una cura drastica, e a ragione, perché tra le 19 commissioni “attive” non è difficile agire di forbice. Anche lontano dalla Capitale, comunque, la fioritura delle commissioni è rigogliosa: tra permanenti, speciali, e comitati la Lombardia ne conta 14, il Piemonte 13 e anche il più piccolo Abruzzo ne totalizza 10 (ma erano addirittura 19 cinque anni fa). Tra presidenti, segretari e vice, in giunte o commissioni, le cariche a cui i consiglieri regionali possono ambire sono 15: tra queste, in molte Regioni, c’è anche quella di revisore dei conti, con tanti saluti al controllo indipendente.

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