Economia

Piano keynesiano per far ripartire l’Italia e il lavoro

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In un tempo nel quale il taglio della spesa pubblica improduttiva, la lotta ai furbetti del cartellino, e, in generale, in un’epoca nella quale i vincoli di budget spingono il dibattito pubblico verso il modello uno stato leggero, le proposte economiche di segno diametralmente opposto suonano molto strane. Da una prospettiva di tipo keynesiano, infatti, è stato avanzato un piano per il rilancio della crescita e il miglioramento dell’efficenza del settore pubblico in Italia che, di fatto, punta ad avvicinare l’impiego pubblico ai livelli pro capite delle maggiori economie sviluppate.

Il piano, presentato dal professor Guido Ortona (Università Piemonte orientale) su Social Europe, parte dall’inatteso dato che mostra come l’Italia abbia un numero di dipendenti pubblici inferiore, in rapporto alla popolazione, rispetto ad altri Paesi avanzati. Se in Italia ci sono 17,56 cittadini per dipendente pubblico, in Francia sono 10,17, in Svezia 7,25, nel Regno Unito 10,94 e 14,08 negli Stati Uniti.

La proposta sottoscritta da Ortona e da altri economisti, contiene dunque un piano di assunzioni compreso fra le 800mila e il milione di unità, per un costo stimato di 15-20 miliardi di euro l’anno per il budget pubblico; è un piano di assunzioni che ancora non porterebbe l’impiego pubblico italiano ai livelli pro capite della Francia o degli Usa, ma che “avrebbe un forte impatto sulla disoccupazione giovanile”.

Nello schema tipicamente keynesiano l’espansione della spesa pubblica permette di godere di un effetto sul Pil più che proporzionale, dato dal cosiddetto effetto moltiplicatore. Il finanziamento iniziale, comunque andrebbe coperto con una tassa sui guadagni in conto capitale applicata in modo progressivo in modo tale che metà della popolazione risulterebbe esente dall’inasprimento. Le tasse sul capital gain, ricorda l’autore, sono più basse in Italia rispetto a molti altri Paesi dell’Unione Europea.

Se da un lato John Maynard Keynes suggeriva, in tempi di crisi, di pagare lavoratori per scavare buche, ed altri ancora per ricoprirle, al giorno d’oggi è più che legittimo chiedersi quale settore dell’impiego pubblico andrebbe potenziato per conseguire risultati realmente utili. A questo problema poi si aggiungono i soliti problemi di inefficienza e corruzione, ben noti in Italia.

A queste domande il piano risponde suggerendo di designare i nuovi posti di lavoro di cui c’è esigenza con un processo dal basso (bottom-up) “sulla base di programmi specifici sviluppati dai diversi uffici” valutati senza l’intermediazione di enti di nomina politica. Nonostante le difficoltà tecniche (soprattutto su quest’ultimo punto) Ortona sostiene che l’espansione dell’impiego pubblico garantirebbe, “un forte impatto sulla disoccupazione”, “un miglioramento sostanziale del Pil” e “un ruolo cruciale nel rendere la pubblica amministrazione più efficiente”.