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Poveri miliardari. Pubblicati 25 nominativi della lista Falciani. E’ un’indecenza

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(WSI) – Il governo italiano – che ha trasformato i suoi cittadini in guardoni, con la divulgazione delle intercettazioni, e in delatori, con l’obbligo per gli esercenti di comunicare all’Agenzia delle imposte le spese dei loro clienti superiori a 3 mila euro – ha reso noti i conti dei primi venticinque clienti italiani della filiale ginevrina dell’Istituto di credito inglese HSBC provenienti dalla cosiddetta «lista Falciani». I giornali li hanno pubblicati un po’ perché è il loro mestiere, molto per amore di scandalismo, per moralismo d’accatto e nella stralunata convinzione che così funzioni la democrazia. Ma che notizia è quella di esporre come evasore un cittadino che ha un conto in Svizzera con poco più di 20 mila dollari? Non è una notizia. È una indecenza.

I depositi dei venticinque vanno da 21.866, 22.396, 40.844, 79.096, 112.576, 113.764 su fino a 1.035.501 dollari dei primi tre (il quarto ne ha 831.908). La pubblicazione dei nomi merita, perciò, qualche riflessione sul concetto di evasione, mentre solleva qualche domanda sul governo italiano. Che ha l’acqua alla gola e non sa che pesci pigliare per uscirne. Così, invece di ridurre spesa e sprechi, e nella prospettiva di aumentare le entrate per farvi fronte, preferisce essere complice di chi ha commesso un reato derubando il proprio datore di lavoro di documenti riservati e cercare di raschiare il fondo del barile, inseguendo anche chi non è miliardario e, forse, neppure evasore.

Poiché i tre che hanno un deposito di un milione di dollari, e quelli intorno al mezzo milione, sono ultrasettantenni, c’è da presumere si tratti dei risparmi di una vita, trasferiti all’estero per sottrarli alla voracità del Fisco. Dato che è anche assai improbabile che quelli con cifre più basse abbiano trasferito all’estero i loro quattro dollari per sottrarsi al Fisco – poco più di 20 mila dollari all’estero sarebbe difficile definirli evasione, mentre è più probabile ci siano rimasti, o ci siano finiti, per spenderli in un viaggio o per piccole spese – c’è da presumere che le ragioni siano fortuite o di natura pratica e/o psicologica. È, del resto, difficile definire miliardari persino i correntisti da un milione, o da mezzo milione, di dollari. Sembrano, piuttosto, persone che avevano un buono stipendio quando lavoravano e che non hanno speso tutto quello che hanno guadagnato.

Voglio essere chiaro, a scanso di equivoci. Anche se, sotto il profilo formale, trasferire non ufficialmente denari all’estero, indipendentemente dalla cifra, è pur sempre un reato, sotto quello sostanziale pare più realistico, in questo caso, definirlo una forma di «rivolta fiscale». Il governo, infatti, mentre se la prende con i venticinque e altre centinaia di migliaia come loro, non dice, però, che, conteggiando anche l’evasione, la pressione fiscale su chi, in Italia, paga le tasse è 7 punti sopra quella della Francia, 10 della Spagna, 15 della Germania, 16-17 del Regno Unito, 20 dell’Irlanda, 27 degli Stati Uniti (Luisa Debernardi, Luca Ricolfi: «Italia: siamo il Paese con il fisco più esoso del mondo ?», Polena, n.3/2009). Né sembra intenzionato a porre rimedio allo stato miserabile della Pubblica amministrazione anche a livello locale.

Il «Corriere della sera» ha pubblicato recentemente, al riguardo, una bella inchiesta sui costi, in euro e per abitante, del personale delle regioni. Sicilia: 349; Molise: 187; Lazio: 53; Toscana: 43; Lombardia: 21 (Mario Sensini: «Classifiche e sprechi delle (troppe) Italie della spesa», 2 luglio). Che chi non paga le tasse non abbia giuridicamente giustificazioni è un fatto. Ma con che faccia lo Stato, da parte sua, va a scavare nella vita di un suo cittadino, titolare di un conto svizzero di poco più di 20 mila dollari, e ne divulga il nome, mentre chiude entrambi gli occhi di fronte a tali vergognose disparità di spesa fra le regioni? E quelle con i bilanci disastrati con che faccia protestano per i tagli della manovra ? Perché, allora, il governo centrale – del quale i prefetti sono i rappresentanti in sede locale – non ne commissaria le amministrazioni utilizzando i prefetti ?

Son perfettamente consapevole che le mie sono «prediche inutili». Ma qualcuno che denunci la situazione dovrà pur esserci. I media «laici, democratici, antifascisti» – che sostengono chi va in piazza al grido «intercettateci tutti», che è come dire «vogliamo lo Stato di polizia» sulla base del principio col quale il fascismo giustificava l’Ovra (la polizia segreta) e il comunismo la Stasi, il KGB e quant’altri miserabili scherani (nella Repubblica democratica tedesca, in Unione Sovietica e negli altri Paesi del «socialismo reale»): «Chi non ha nulla da temere non ha nulla da nascondere» – non si pongono queste domande, fingono di ignorare che, in Italia, c’è un grave problema di civiltà democratica: la carenza di una corretta definizione dei rapporti fra autorità pubblica, a tutti i livelli, e cittadini.

Per l’Italia «laica, democratica, antifascista», invece, il governo è legittimo solo se a vincere le elezioni è stata la propria parte politica, anche se poi fa esattamente, o peggio, quello che faceva il governo precedente. È l’Italia che, nel 1945, ha cambiato camicia, da nera a altri colori, con un passaggio al rosso, salvo accorgersi, poi, con anni di ritardo che quest’ultima era la camicia di Stalin. Mio Dio, come è ridotta questa mia povera Italia.

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