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POVERA PATRIA: E’ TORNATA A TRIONFARE LA TANGENTE

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(WSI) – È impressionate il memoriale scritto dalla moglie, separata o divorziata, di un parlamentare abruzzese di Forza Italia, oggi del Pdl. L’ha pubblicato Primo Di Nicola sull’Espresso, dopo che la signora l’aveva inviato al procuratore della Repubblica di Pescara, Nicola Trifuoggi. Il memoriale descrive una sarabanda di tangenti pagate o pretese per i motivi più diversi. A cominciare da quello che mi ha sorpreso di più: garantirsi un posto sicuro in Parlamento.

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Naturalmente il racconto della signora potrebbe essere falso del tutto o in parte. Anche se è strapieno di fatti, circostanze, date e nomi. Confesso che ho sempre diffidato dei memoriali. Soprattutto se sparati da una moglie contro l’ex marito. Ma in questo caso il documento è nelle mani di un magistrato rigoroso. Dunque non ci resta che aspettare l’esito della storia.
Tuttavia, il memoriale rafforza la convinzione che pure in questa Seconda repubblica il tangentismo sia ritornato a trionfare. Tanto sul versante del centrodestra che su quello del centrosinistra. In Puglia è sotto inchiesta la giunta regionale guidata da Nichi Vendola.

In altre regioni del Mezzogiorno si scoprono troppi big con le mutande sporche. Lo stesso accade nell’Italia del Nord. Dove prima o poi la bolla delle mazzette scoppierà, con un fracasso senza pari.

C’eravamo illusi che la Tangentopoli dei primi anni Novanta avesse convinto politici e imprenditori a tenere comportamenti corretti. Ma non è andata così. Allora le mazzette venivano pagate dalle imprese ai partiti per averne i favori o per garantirsi la loro neutralità. I partiti le incassavano perché i soldi non gli bastavano mai. Se poi il denaro andava a singoli politici, questi spiegavano le “dazioni” con i costi della battaglia per le preferenze elettorali.

Oggi si ritorna a parlare dell’epoca delle preferenze. Come di un’età dell’oro democratico che consentiva agli elettori di scegliere i rappresentanti in Parlamento. In realtà, la faccenda era molto diversa. Rammento il mare di fango in cui affondava quel sistema. In nome del voto di preferenza, vennero compiute porcherie infinite. A cominciare dal fatto che le preferenze si potevano comprare. E con un risultato innegabile: vincevano le elezioni i candidati che possedevano più soldi.

Ricordo una campagna allucinante, quella del giugno 1987. Allora stavo a Repubblica e scrissi una rubrica quasi giornaliera che s’intitolava “Zero in condotta”. Era un documentario degli orrori mediatici di tanti candidati. Orrori pagati a peso d’oro, spesso con il nero delle tangenti. Una propaganda grottesca, ma che doveva funzionare. Altrimenti non ci sarebbe stata la corsa al ridicolo.

Oggi stiamo vivendo nel sistema opposto: quello delle liste bloccate, decise dai vertici dei partiti. In molti ritengono che il sistema, anche se autoritario, sia limpido. I capi del Pdl, del Pd, dell’Italia dei valori e delle altre parrocchie si radunano in una stanza e decidono chi verrà eletto. In realtà capita ben altro.

Il memoriale della signora abruzzese, ammesso che racconti la verità, ci spiega che anche nel sistema delle liste bloccate compare il maledetto denaro. Se hai dei soldi, molti soldi, e li consegni alle persone giuste, puoi sperare di entrare o di ritornare in Parlamento. Ma i soldi bisogna trovarli. Di qui l’ingresso in un sistema che rammenta Tangentopoli.

A partire dal 1992, quel sistema venne smantellato dal pool giudiziario della Procura di Milano e poi da altri pool. Fu una battaglia terribile, che vide centinaia di persone arrestate, di morti per suicidio o per infarto, di carriere distrutte. E infine la scomparsa di molti partiti, a cominciare dalla Dc e dal Psi. Se ne salvarono due, il Msi e il Pci. Il primo perché era fuori dal sistema. Il secondo perché, in qualche modo, venne graziato dalle procure.

Il capo del pool milanese era un magistrato di virtù rara: Francesco Saverio Borrelli. Mi capitò di parlargli a lungo un giorno dell’agosto 1992. Era inorridito di quanto andava scoprendo con i suoi sostituti. Ma era soprattutto tormentato dal timore di sbagliare e di veder cadere qualche innocente sul fronte di Mani pulite. E si domandava, angosciato, quanto avrebbe retto il sistema dei partiti.

Borrelli stava da mesi sotto i missili sparati dai democristiani, dai socialisti e dai comunisti. Ma conservò la sua calma di gentiluomo vecchio stampo. Anche perché sapeva di avere con sé gran parte degli italiani qualunque. Stanchi dei soprusi della casta partitica. E sempre più spesso alle prese con qualche don Rodrigo moderno e i suoi bravi.

Esiste un Borrelli del 2009? Io non lo vedo. I magistrati corretti sono molti. Ma nel suo insieme la casta giudiziaria ha perso autorevolezza. Una parte dei giudici si è politicizzata e questo ispira una gran diffidenza nei cittadini. In tanti pensano che aprano o chiudano le inchieste a seconda della vicinanza a questo o quel partito.

E così succede che a contestare certe indagini non sia soltanto il centro-destra di Silvio Berlusconi, ma anche la sinistra. Per citare un esempio solo, è quel che accade a Bari. Qui Vendola, governatore di una giunta regionale abolita da lui stesso, si scaglia contro il sostituto procuratore che indaga sulla presunta Sanitopoli barese.

Nei momenti di sconforto, mia madre esclamava: non so più a quale santo votarmi! Anch’io mi sento come lei. Il grande Leo Longanesi aveva scritto un libro intitolato: Ci salveranno le vecchie zie?. Temo di no. Nessuna zia ha la forza di un politico tangentaro.

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