Società

PIAZZA AFFARI: NIENTE PAURA,
LA BOLLA NON C’E’

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Per capire il momento che stanno vivendo le Borse, basta forse guardare il grafico del Mibtel negli ultimi cinque anni. Nel febbraio del 2000 (che anni quegli anni) svettava felice e tranquillo a quota 35 mila e sembrava dovesse andare ancora più su, proprio vicino a Dio. Quando si pensava che chiunque, un po’ svelto di mano e con anche solo una decina di milioni (allora, di lire) in tasca avrebbe potuto dare l’assalto al cielo dei veramente ricchi.

Si era nella stagione in cui certi titoli (oggi scomparsi o dimenticati) salivano del 600 per cento in un solo giorno (di solito il primo di quotazione). Per poi mantenersi su livelli comunque buoni. Quella è stata la stagione in cui c’è stato persino chi, con i guadagni di Borsa, ha fatto della beneficenza, sostenendo allegramente: “Ci sono tanti di quei soldi, che non mi costa veramente niente regalarne un po’”. Altri, meno altruisti, si sono comprati l’appartamento.

Poi, la fine di tutte le illusioni. Il crollo è stato lungo, è stato segnato da qualche ripensamento (cioè rimbalzi), ma la discesa è stata inesorabile, come guidata dalla vecchia legge di gravità (i sassi che cadono) piuttosto che dalla finanza e dalle moderne teorie dei mercati, o dalle manovre dei creativi della new economy.

E’ stata, per chi se la fosse dimenticata, una discesa epocale, che ha macinato fortune, destini e miliardi. E infatti nella primavera del 2003 si tocca il punto più basso della lunga scivolata e il Mibtel si ritrova a quota 15 mila. In sostanza, ha perso 20 mila punti, venendo da 35 mila. Ha perso più della metà del suo valore. E, a quota 15 mila, sembrava destinato a rimanere, il Mibtel, per anni e anni, marcando da lontano lo stato di stagnazione endemica dell’economia italiana (che non si muove nonostante la continua richiesta di scosse).

Invece, proprio nella primavera del 2003, nel momento di maggior ribasso, al fondo della propria fortuna, ecco che il Mibtel e la Borsa italiana rialzano la testa. E ricomincia una dolce salita. Non impetuosa come era stata la discesa, ma consistente.

Oggi si ritrova il Mibtel a quota 25 mila, venendo da quota 15 mila. Venti mila punti aveva perso dentro la Grande Crisi, 10 mila sono i punti che ha già riguadagnato. La crescita, da allora, è stata di oltre il 60 per cento. Chi ha avuto fiducia, e proprio nel momento in cui tutti se ne andavano scuotendo la testa e giurando “Mai più in Borsa”, ha fatto centro e oggi ha aumentato in misura consistente il suo capitale.

Che cosa c’è dentro questo rialzo, questa ripresa della Borsa? L’Italia che va meglio? No. Se fosse per questo il listino dovrebbe essere ancora più indietro. Dentro questo rialzo ci sono un paio di storie molto italiane. E una sorta di mutamento biologico del capitalismo italiano.

Le storie sono quelle che tutti possono leggere sui giornali e che hanno a che fare, come in innumerevoli e passate stagioni di Borsa, con assalti veri o finti a postazioni azionarie varie. E ultimamente sono andate molto di moda le banche. Tutti all’assalto, anche di roba che in passato nessuno avrebbe degnato di un’occhiata. Ma i mercati sono fatti così. Se si sparge la voce che sta per cominciare una guerra per il controllo di una pantofola (bancaria o di altra natura), tutti a comprare pezzi della pantofola perché si sa che le azioni andranno su e quindi si potranno fare dei bei soldini. Di queste storie negli ultimi tempi la Borsa italiana è stata piena e, naturalmente, i listino è lievitato. Si potrebbe dire che è stato portato verso l’alto da guerre non immaginarie (perché sono corsi davvero miliardi), ma da guerre forse senza senso.

Tutto l’infinito pasticcio che è successo sulle banche poteva essere ridotto a zero o quasi se il governatore di Bankitalia, invece di fare la Sfinge, avesse detto in cinquanta parole che cosa intende fare. In un certo senso, invece, tutti hanno scommesso su quello che ci sarà (o non ci sarà) dentro la testa di Fazio (a chi darà l’Antoveneta e la Bnl resterà lì o andrà a Caltagirone?). Una cosa, insomma, anche un po’ ridicola. E’ come giocare a tombola, ma non con qualche pensionato che tira fuori i numeri dal sacchettino. Qui i numeri stanno nella testa del governatore, che forse si diverte pure a questo spettacolo. Tutto questo, anche se ridicolo, ha contribuito comunque a far salire i listini e a far recuperare metà del terreno perso dentro la Grande Crisi.

Poi c’è stata la mutazione biologica. L’irrompere, cioè, delle utilities o robe analoghe. Gas, telefoni, energia elettrica. Insomma, la presenza, sempre più dilagante, di queste cose su listino. Tutte queste utilities hanno alcune caratteristiche interessanti. In genere, si tratta di roba tranquilla. Tu a casa tua accendi la luce, e l’Enel fa un po’ di profitti. Un tuo amico alza il telefono e ti chiama e Telecom fa un po’ di profitti che vanno a aggiungersi a quelli già fatti. Non si tratta di attività complicate. In genere (e nonostante qui ci siano autorità per la concorrenza e altro) la concorrenza non c’è non perché non sia prevista o perché non si intenda farla rispettare, ma per una ragione più fondamentale: non ci sono i concorrenti.

E quindi chi si compra le azioni di una utilities di solito va sul sicuro. Perché una società di questo genere (con il mercato assicurato e le tariffe a posto) si metta a perdere soldi bisogna proprio applicarsi molto. E quindi si va tranquilli.
Ovvio che in tempi difficili e incerti come questi le utilities siano andate a ruba. Solide, belle, tranquille. E infatti anche lo stesso capitalismo che conta appena può si lancia sulle utilities perché lì si possono fare soldi e bella figura impegnandosi mica tanto.
Per avere una conferma precisa di quanto è appena stato detto basta andare a vedere ancora una volta gli indici milanesi. Nel 2004 la Borsa è andata su del 19,4 per cento. I titoli industriali sono saliti invece del 23,3 per cento. Ma è una sorta di illusione ottica. Infatti “dentro” i titoli industriali ci sono i titoli delle utilities che sono saliti (in un anno) del 36,9 per cento.

Ma allora questa Borsa è già pronta per esplodere un’altra volta. Dopo la Grande Crisi e la Dolce Risalita siamo già alla vigilia di un’altra Grande Crisi. Insomma, c’è il rischio di ritrovarsi con il Mibtel a quota 15 mila, come nel 2003?

Quasi certamente no. E’ possibile affermare, con una certa sicurezza, che nonostante tutte le sue stramberie nella Borsa italiana in questo momento non c’è una bolla speculativa.
Infatti i rendimenti dei titoli, a conti fatti, sono abbastanza in linea con gli usi e i costumi dei mercati finanziari. Se c’è qualcuno che ha corso un po’ troppo sono le banche, ma questo si sapeva. E infatti è proprio con le banche che un po’ tutti raccomandano prudenza. Il resto, grosso modo, sta al suo posto. E la Borsa potrebbe, sia pure con un po’ di calma, e magari dopo qualche rimbalzo (all’indietro) proseguire pacificamente lungo la sua corsa.
E per una ragione molto semplice. Anzi, due. La prima consiste nel fatto che in giro ci sono un sacco di soldi. Soldi di cui non si sa bene che cosa fare, visto che anche le banche si lamentano: hanno i forzieri pieni, ma nessuno va a chiedere prestiti per fare investimenti. E si sa che quando ci sono in giro molti soldi, alla fine qualcosa arriva anche in Borsa.

La seconda ragione per cui è possibile che la Borsa tenga, e anche bene, è che non ci sono alternative. Dagli immobili è meglio stare alla larga. E il reddito fisso è quello che è: una specie di capanna per i poveri e i senza-tetto. Il Bund tedesco, per fare un esempio, è già a quota 120 e restituisce un interesse del 2 per cento (con il rischio che un giorno o l’altro, magari, te lo ritrovi a quota 100). Se vuoi rischiare di più e ti lanci chissà dove, al massimo porti a casa il 4 per cento all’anno. In queste condizioni persino i broker più prudenti e paurosi dicono: ragazzi, tentiamo la Borsa, via in piazza Affari.

Sarà uno stagno, sarà che non possiamo comprare tutti Enel, Eni e Telecom, ma questa stagione non offre altro. Siamo una generazione di sfigati, e ci tocca andare tutti in piazza Affari a giocare a tombola.


Copyright © La Repubblica – Affari & Finanza per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved