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PETROLIO: LA SUPER-MEGA SPECULAZIONE

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Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – È sempre più difficile sostenere che l’impennata del prezzo del petrolio non è dovuta in gran parte alla speculazione finanziaria, soprattutto dopo il balzo di 10 dollari il barile registrato nella giornata di venerdì.

Questi violenti movimenti, che hanno spinto il prezzo del greggio ad un soffio dai 140 dollari il barile, sono la manifestazione inequivocabile della bolla finanziaria che si è formata nel mercato delle materie prime e dei prodotti alimentari. Alcune cifre confermano questa tesi.

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Come ha scritto sul «Financial Times» Lord Desai, docente alla London School of Economics, nello scorso mese di maggio, al New York Mercantile Exchange sono stati scambiati ogni giorno contratti per circa 850 milioni di barili, ossia un volume corrispondente a dieci volte la produzione giornaliera di petrolio (che ammonta a 85 milioni di barili). Questi semplici dati confermano che ha ragione il finanziere George Soros, il quale, in una recente audizione davanti al Senato statunitense, ha dichiarato: «Ci sono tutti i segnali di una bolla, ma non è detto che essa scoppierà tanto presto».

I segnali di una bolla ci sono in effetti tutti. Il prezzo del petrolio è più che raddoppiato negli ultimi 12 mesi ed è salito quest’anno dai 90 dollari il barile dello scorso mese di febbraio ai 139 dollari di venerdì scorso.

Nell’economia reale non è successo nulla che possa giustificare un incremento superiore al 9%. La domanda cinese ed indiana, additata spesso come causa principe del rialzo del greggio, non ha subito negli ultimi cinque mesi alcun balzo. Inoltre, la richiesta di greggio di Cina e di India non influisce direttamente sulle quotazioni di breve termine del greggio, poiché avviene fuori dal mercato, con contratti a lungo termine firmati con i paesi esportatori.

Anche i termini dei problemi produttivi dei paesi esportatori di greggio non sono cambiati negli ultimi mesi. Anzi, l’aneddotica indica – come ha sottolineato «Il Sole 24 Ore» – che si moltiplicano le petroliere che vagano per gli Oceani in cerca di attracchi, cioè di acquirenti, cui vendere a sconto il loro carico di greggio.

Il problema è che i mercati a termine sui combustibili non obbediscono alle leggi della domanda e dell’offerta, ma alle aspettative sul prezzo futuro. E in questo mercato di carta si sono fiondate le istituzioni finanziarie, le quali negli ultimi anni hanno investito 260 miliardi di dollari. È quindi evidente che quando la Goldman Sachs, la banca di investimento più attiva in questo mercato, prevede che entro la fine dell’anno il barile supererà i 200 dollari, non fa una previsione, ma in buona sostanza dice alla concorrenza di continuare a scommettere sul rialzo del greggio.

Ciò induce a ritenere che la corsa del prezzo del petrolio potrebbe ancora continuare e quindi decurtare ancor di più il reddito di famiglie ed imprese. Non sorprende che si moltiplichino le proposte di trattare con gli arabi, affinché aumentino la produzione; oppure di detassare il prezzo del petrolio per calmare la rabbia crescente di consumatori, pescatori ed autotrasportatori. È pure difficilmente spiegabile come non si reagisca a questa corsa del greggio che sta intaccando la crescita di economie già sotto stress a causa della crisi dei mutui subprime e che sta favorendo il ritorno dell’inflazione.

Comunque è incomprensibile che rispetto alle numerose idee in circolazione nessuna proposta miri ad aggredire la causa prima di questa enorme bolla finanziaria attorno al prezzo del petrolio. Eppure basterebbe una regola semplice per far cadere il castello costruito sul greggio dai «maghi della carta straccia».

La regola è la seguente: coloro che comprano a termine il greggio devono alla scadenza del contratto comprare il petrolio fisico e non possono più evitare di farlo pagando una piccola compensazione monetaria, come invece avviene oggi. In pratica, si tratterebbe di ripristinare le leggi dei mercati a termine. Nessuno però sembra avere il coraggio di rovinare l’ultimo giocattolo, che frutta ancora soldi, creato da Wall Street.

Così dopo la bolla delle borse, scoppiata all’inizio del decennio, e quella del mercato immobiliare americano, esplosa l’anno scorso, ora abbiamo la «mania» del petrolio. Anche questa bolla è certamente destinata prima o poi a scoppiare, ma nel frattempo rischia di aggravare pesantemente le condizioni di un’economia mondiale che già stenta a fare i conti con la crisi dei mutui subprime.

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