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PETROLIO: LA NIGERIA E’ PIU’ PERICOLOSA DI SADDAM

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Il conflitto in Iraq ha portato ancora una volta alla ribalta il problema delle risorse petrolifere mondiali e del costo dell’energia.

La riserva attuale di petrolio dell’Iraq e’ stimata in 112 miliardi di barili e per la maggior parte e’ situata al sud del Paese. Secondo gli esperti, se si dovesse procedere ad una esplorazione su tutto il territorio si potrebbero superare i 300 miliardi di barili di risorse sfruttabili. E’ chiaro che se le proiezioni sugli aumenti del consumo, che vogliono una richiesta mondiale in crescita dagli attuali 80-85 milioni di barili al giorno ai 112 del 2020, dovessero risultare veritiere, il peso dell’Iraq, che detiene la seconda riserva di greggio al mondo (la prima spetta all’Arabia Saudita), diventa strategicamente molto importante.

Nell’immediato, tuttavia, la situazione delle risorse petrolifere mondiali ha dei risvolti diversi da quelli sopra delineati. Oggi l’Iraq e’ in grado di estrarre poco piu’ di due milioni di barili al giorno, e in questo momento neanche quelli, a causa del conflitto. Per ripristinare la capacita’ produttiva pre-guerra saranno necessarie grosse ristrutturazioni degli impianti gia’ esistenti, e per fare del Paese un esportatore di greggio di prima grandezza servirebbero investimenti che al momento nessuna grande oil company andrebbe ad effettuare in un posto tanto insicuro.

Sono altre le nazioni in grado di influenzare l’approviggionamento di oro nero sul mercato mondiale. In particolare potrebbe essere fondamentale quanto sta accadendo in Nigeria. Gli scontri inter-etnici che da oltre dieci giorni piagano il Paese africano, pericolosamente vicino ad una guerra civile, hanno portato ad un brusco calo dell’attivita’ di estrazione. Il problema e’ particolarmente grave se si pensa che la Nigeria e’ attualmente responsabile del 6% dell’esportazione mondiale di greggio. Con 2,2 milioni di barili al giorno, il Paese e’ il quarto esportatore di petrolio negli Stati Uniti, che ne importa 800.000 barili al giorno. Se si esclude una quota limitata dedicata all’Asia, il resto viene smistato all’interno dell’Unione Europea.

Pur non comparendo tra i principali fornitori del nostro Paese, la Nigeria e’ fondamentale per la piu’ grande oil company italiana, l’ENI. Secondo i dati dell’EIA (Energy Information Administration), nel 2002 l’Italia e’ stata in grado di estrarre all’interno del proprio territorio solo 149.000 barili di petrolio al giorno. Dato che ne consuma circa 1,87 milioni, il Bel Paese dipende per oltre il 90% dall’importazione. Non solo, l’Italia continua ad essere uno dei Paesi europei maggiormente dipendenti dalla risorsa petrolio. Solo per fare un esempio, il rapporto tra aumento del costo del greggio ed energia elettrica tra noi e la Francia (che usa l’energia atomica) e’ di oltre 10 a 1.

I maggiori esportatori di petrolio verso l’Italia sono la Libia, l’Iran, l’Arabia Saudita e l’Algeria. Il 50% del fabbisogno nazionale e’ coperto dalle importazioni del Medioriente e del Nord Africa.

In Nigeria, i responsabili del piu’ grande sindacato dei lavoratori del settore, il Pengassan, hanno gia’ comunicato che gli addetti ai lavori non torneranno a svolgere la loro attivita’ in mancanza dei requisiti minimi di sicurezza. L’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, previste per il 19 aprile, apre per il Paese un periodo molto delicato, che potrebbe portare ad un ulteriore calo della produzione di greggio.

Tra le grandi compagnie petrolifere che stanno soffrendo maggiormente di questa situazione troviamo Royal Dutch-Shell e Chevron-Texaco, costrette a diminuire l’estrazione del 40%. In secondo piano ci sono la francese Total Fina e la nostra ENI, che hanno dovuto rinunciare rispettivamente al 25% e al 15% del petrolio estratto dai giacimenti nigeriani. Il rischio per l’azienda italiana, per quanto sia al momento limitato, ha un impatto potenziale di dimensioni notevoli. Secondo le stime degli analisti di J.P. Morgan, nel 2003 il cane a sei zampe ha intenzione di estrarre circa l’8,5% della propria produzione dal Paese africano.

Ma i problemi per le aziende e gli investitori coinvolti nel business dell’oro nero non finiscono qui. Chi acquista petrolio dalla Nigeria si rivolgera’ con tutta probabilita’ ai fornitori del Mare del Nord. La necessita’ di ricostruire in fretta le riserve di carburante all’approssimarsi della stagione estiva consigliera’ infatti agli acquirenti un fornitore non troppo distante. Il viaggio tra la piattaforme del Mare del Nord e gli Stati Uniti e’ leggermente piu’ breve rispetto alle due settimane necessarie per il trasporto del greggio dal delta del Niger (dove sono localizzati gli impianti piu’ importanti del Paese africano) al Golfo del Messico.

Per quanto sia disponibile un’ingente quantita’ di greggio saudita, esiste un problema di qualita’ diverse. Il petrolio nigeriano e’ del tipo sweet crude, mentre quello arabo e’ di qualita’ sour (aspro). I problemi della tempistica dell’approviggionamento potrebbero far aumentare lo spread tra le due qualita’ di petrolio. Sarebbero quindi avvantaggiate nel medio periodo le raffinerie specializzate nel trattare sour crude (meno caro perche’ piu’ disponibile), come Valero e ConocoPhillips, rispetto a quelle che utilizzano lo sweet crude (vedi la Sunoco).

Difficile a questo punto prevedere gli ulteriori sviluppi della situazione in Nigeria. Resta il fatto che il continente africano ha le carte in regola per sostituire il Medioriente come primo fornitore di petrolio al mondo nei prossimi vent’anni. In assenza di politiche in grado di creare ricchezza diffusa a larghi strati della popolazione, il rischio e’ che il fondamentalismo abbia la meglio anche in questa zona. I Paesi occidentali devono intervenire adesso se non vogliono affrontare altri scenari di “guerra preventiva” come in Iraq in un futuro non molto distante.