Società

PERCHE’ CADE UN ALTRO BOSS GLOBALE E MULTIMEDIALE

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

“Un americano con il passaporto tedesco”. Nel braccio di ferro con gli azionisti, con i fondatori e con la vecchia guardia renana, anche questo suo slogan provocatorio potrebbe essere costato caro a Thomas Middelhoff, costretto lo scorso fine settimana a lasciare la guida del gigante mediatico Bertelsmann, che avrebbe voluto trasformare in public company.

“E’ un uscita ancora da chiarire”, spiega un banchiere che chiede di non essere citato. La sua sostituzione con Gunther Thielen, forse l’unico che ha resistito ai cambi di vertice fatti nei quattro anni di gestione Middelhoff, “è simbolica: rappresenta un ritorno al passato per la casa editrice”.

Thielen, di dieci anni più vecchio del 49enne Middelhoff, era alla presidenza della Fondazione Bertelsmann, la cassaforte della famiglia Mohn, che controlla la società.

“Se invece – dice il banchiere – Middelhoff dovesse effettivamente prendere il timone di Deutsche Telekom, avrebbe vinto la sua partita”.

Tuttavia, né il governo tedesco, né il gruppo telefonico hanno commentato le voci di Borsa, secondo cui il manager potrebbe prendere il posto lasciato libero da Ron Sommer.

L’uscita di Middelhoff, anche se per motivi differenti, arriva in un luglio bollente per il mondo delle comunicazioni, con la caduta degli uomini fino a pochi mesi fa osannati da analisti e investitori: Jean-Marie Messier di Vivendi, Robert Pittman dell’americana AOL e, appunto, Sommer.

Il top manager di Bertelsmann era salito nel 1998 al vertice della casa editrice, con l’appoggio del capostipite della famiglia proprietaria, Reinhard Mohn, non tanto per la reale volontà di un ricambio generazionale, quanto per i successi del giovane dirigente.

La sua provenienza dal campo multimediale era stata baciata dalla fortuna e nel punto più alto del boom della new economy, Middelhoff, presentando il bilancio, dichiarava orgoglioso: “Siamo seduti su un sacco pieno di denaro”.

Era stato chiamato a sostituire Mark Woessner, che si era dimesso (secondo il rigido statuto di Bertelsmann) al compimento dei 60 anni di età, e che aveva avviato la modernizzazione del gruppo, fin lì concentrato nella pubblicazione di libri e nella vendita attraverso il circuito del “club degli editori”.

Middelhoff era il suo assistente e, salendo al vertice, era riuscito a guadagnarsi la fiducia di Mohn, raddoppiando il volume d’affari a circa 30 miliardi di euro, moltiplicando per 6 i profitti e creando una forza lavoro di 81.000 persone in 60 paesi e oltre 400 aziende.

Oggi il gruppo basa i propri ricavi per il 34 per cento dagli Stati Uniti, per il 35 per cento nel Mondo e solo per il 31 per cento in Germania.

Controlla tramite il gruppo Rtl 23 televisioni e 14 stazioni radio in Europa, possiede la casa editrice americana Random House, quella tedesca Gruner & Jahr (che pubblica i settimanali Stern e Die Zeit). E’ leader in campo musicale con il marchio Bmg.

Nel gennaio di quest’anno Bertelsmann è sbarcata in Cina stringendo accordi con partner locali. “Un’intesa che rappresenta una nuova fase di espansione in nuovi settori: televisione, radio e-commerce”, annunciava Middelhoff. Fino a quel momento nessuno era riuscito a forzare l’ermetica porta editoriale del Celeste Impero.

Il sogno e terreno di scontro con gli azionisti è stata, almeno ufficialmente, la quotazione in Borsa. Non ce l’ha fatta, un pò per la crisi dei mercati finanziari, di più per il Dna conservatore di uno dei primi gruppi mondiali della comunicazione, che conserva la sede a Guetersloh, cittadina renana, nota anche per le lavatrici Miele.

La caduta del manager segna la fine dell’era multimediale? “Non credo”, dice Maurizio Costa, amministratore delegato di Mondadori. “Il processo di maggior collaborazione fra le varie aree di business è avviato e non dovrebbe rientrare, anche se il cambio ai vertici può sembrare un ritorno alla tradizione per la casa editrice”.

Mondadori ha alcune società al 50 per cento con Bertelsmann, come Random House Mondadori, seconda nel mercato mondiale dei libri in lingua spagnola. “Per noi, penso che prevarrà una logica di continuità”, aggiunge Costa. Gli analisti temono invece il tramonto definitivo del progetto Borsa.

“La mia paura – diceva un anno fa Middelhoff riferendosi alle rivoluzioni mediatiche – è che la testa della gente non riesca a cambiare altrettanto velocemente”.

Copyright © Il Foglio