Società

Per le 50 maggiori blue chip italiane il potenziale inespresso è del 27%

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI)- Non è più scontato essere pessimisti. Piazza Affari resta il fanalino di coda delle Borse europee (-9% da gennaio ad oggi), ma dalla fine di agosto il pur pesante listino italiano ha recuperato il 7%.

Per chiudere l’anno in pareggio – addirittura con un guadagno – ce n’è da camminare ancora. Ma oggi gli operatori non sono più così guardinghi. E quel che accade (con poco slancio) in Italia si vede con più chiarezza altrove. Da Francoforte a Wall Street – per citare le Borse dove la speranza di ripresa ha fatto più bottino – gli indici da gennaio ad oggi sono già positivi, rispettivamente dell’8% e del 5%.

Cambio. A che cosa si deve il cambio di umore? Sulla bilancia bisogna mettere molte cose. Alcune sono banali, come la necessità di imbellettare i portafogli per la fine dell’anno che accomuna tutti i gestori a prescindere dalla stagione dei mercati.

Se le cose vanno molto male, però, la voglia di fare bella figura con i clienti non basta a risollevare le sorti dei listini. Quindi, a parte l’ansia da chiusura di bilancio, c’è dell’altro.

Gli esperti delle 24 sgr italiane intervistate da Morningstar in questi giorni pensano che in Europa le valutazioni siano particolarmente interessanti. Prezzi bassi, insomma. Il p/e medio dei listini europei è tra le 12 e le 13 volte, cioè sotto le medie storiche.

«Le azioni offrono buon valore e sono un mercato poco affollato», chiosano gli analisti di Citi in un report recente. Se i listini cominciano a risalire, c’è dunque qualcuno in più che passa ai fatti, comprando. Non tanto, per il momento, da «bruciare» gli upside calcolati dai più ottimisti. Deutsche bank, per esempio, stima che le 50 maggiori azioni italiane abbiano un potenziale inespresso del 27%.

Per capire di più il vero stato di salute delle nostre regine nelle prossime due pagine CorrierEconomia ha messo insieme i numeri, i piani strategici e gli ultimi giudizi degli analisti per dieci dei titoli di Piazza Affari rappresentativi di tutti i settori e popolari tra gli azionisti privati.

Un contributo per fermarsi e capire qual è, in questo momento, lo stato dell’arte della nostra «grande» finanza. Che, insieme a quella globale, è cautamente ottimista anche perché aspetta una nuova doccia di denaro dalla Federal Reserve prima di Natale.

«In questi giorni – spiega Fausto Artoni – gestore senior di Azimut sgr – i mercati hanno beneficiato per le aspettative sul riacquisto di titoli promesso da Ben Bernanke per la fine dell’anno». Il quantitative easing (così si chiama in gergo tecnico) che dovrebbe essere una boccata di ossigeno per le banche, spiega Artoni, che possono così continuare a finanziare il sistema.

L’altro motivo che sorregge le azioni da qui a fine anno è una stagione di trimestrali (avviata negli Usa, in partenza in Europa) che porta in dote numeri buoni. Jp Morgan, il benchmark mondiale delle banche, ha comunicato la settimana scorsa risultati interessanti, mettendo nero su bianco un miglioramento della qualità del credito, non delle solite commissioni da trading. Il terzo sostegno per una fine d’anno in rosa è il grande boom dei Paesi Emergenti. Un notevole flusso di capitali si sta spostando verso queste economie e una parte degli utili «buoni» nella vetrina delle trimestrali viene da lì.

Non va però dimenticata la fragilità del quadro macro-economico soprattutto nei Paesi Occidentali, la continua marcia verso l’alto delle quotazioni dell’oro – segno inequivocabile che c’è ancora molta incertezza – e il disordine valutario, che in pochi mesi ha riportato l’euro alle stelle e il dollaro e le valute emergenti in posizione di tattica debolezza.

Guerra. «La competizione valutaria è sinonimo di una situazione di instabilità che tende a premiare la borsa americana rispetto al resto del mondo», ricordano Andrea Delitala e Marco Piersimoni di Pictet Funds.

In attesa che si chiarisca il quadro di un autunno in cui nessuno ha voglia di essere completamente pessimista non resta che seguire il complicato intreccio di variabili a cui la crisi ci ha abituato. Nella speranza che ottobre possa essere (come successo in passato, vedi altro articolo ) l’ignaro incubatore di una svolta positiva.

Copyright © Corriere della Sera. All rights reserved