Economia

Pensioni, vivremo fino a 100 anni ma non potremo permettercelo

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Il sistema pensionistico di alcuni Paesi sviluppati andrà incontro a un inesorabile squilibrio fra il risparmio e le prestazioni pensionistiche ricevute nel corso della vita. Il fenomeno è stato analizzato in uno studio compiuto dal World Economic Forum dal titolo rivelatore: “Vivremo fino a 100 anni, possiamo permettercelo?”. Se gli attuali sistemi pensionistici non venissero riformati, il gap fra risparmi destinati alla previdenza e le “aspettative medie di reddito pensionistico annuo adattare alle aspettative di vita” raggiungerebbe un incremento annuo del 5% da qui al 2050 fino a raggiungere (per i Paesi esaminati dallo studio) una quota di 400mila miliardi di dollari.
Una parte dello squilibrio dei sistemi pensionistici (oggetto dello studio sono, in particolare, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Giappone, Cina, India e Paesi Bassi), si spiega con le crescenti aspettative di vita che accompagneranno molti Paesi avanzati: in Italia, ad esempio, il 50% dei nati nel 2007 vivranno 104 anni, secondi per longevità solo agli omologhi giapponesi.

Un secondo aspetto che potrebbe gravare sul deficit fra risparmio e pensione è il livello decrescente dei ritorni a lungo termine degli investimenti: “si prevede che le azioni performeranno il 5% in meno rispetto alle medie storiche” mentre per i bond i ritorni saranno inferiori del 3%. Questi fattori “metteranno ulteriore pressione sui fondi pensione” impegnati a garantire i benefit contratti con i propri sottoscrittori.

Se poi si considera il livello insoddisfacente dell’istruzione finanziaria, un aspetto che potrebbe essere tranquillamente esteso anche alla realtà italiana, emerge che “molti individui non siano equipaggiati per gestire i propri risparmi pensionistici”. Mancano, infatti, le nozioni di base sull’impatto dell’inflazione, della diversificazione dei rischi e del valore degli interessi nel tempo.

Secondo il Wef per garantire una maggiore sostenibilità sarà necessario non solo spostare più in avanti l’età pensionabile, ma anche innalzare i livelli di contributo pensionistico fino a raggiungere almeno il 10-15% del reddito annuo “per raggiungere un assegno ragionevole”.