Economia

Pensioni, Quota 41 o Quota 103? Le ipotesi sul tavolo (mentre cresce la spesa)

Si riapre il dibattito sul futuro delle pensioni. Oggi il governo e le parti sociali si incontrano: il peggior nemico contro il quale devono combattere è il tempo. A fine anno scade Quota 103 e la preoccupazione maggiore è il ritorno alla Legge Fornero. Continua il pressing dei sindacati, che chiedono una riforma con la quale superare definitivamente il vecchio sistema previdenziale e che permetta una maggiore flessibilità ai lavoratori che vogliono uscire dal mondo del lavoro. Sul tavolo c’è l’ipotesi – o la speranza – che si possa continuare ad uscire a 62 anni d’età con 41 di contributi.

Ad essere completamente scomparsa dal Def, nel corso del mese di aprile, è Quota 41. Ricordiamo che questa misura permette di andare in pensione con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica dei diretti interessati. Questa soluzione rimane uno degli obiettivi del Governo per questa legislatura, ma al momento mancano le coperture finanziarie. Ma vediamo nel dettaglio su cosa verteranno i confronti tra le parti.

Il futuro delle pensioni

Cosa succederà in futuro alle pensioni? Vediamo nel dettaglio caso per caso.

Quota 103, è possibile un bis

Quota 103 è destinata a sparire entro il 31 dicembre 2023. Il governo Meloni si trova nella situazione di dover presentare ai sindacati una proposta su come uscire anticipatamente dal lavoro anche nel corso del prossimo anno. L’idea che si sta facendo avanti è quella di prorogare per un altro anno di Quota 103: questa misura, che è stata introdotta dal governo Draghi, prevede l’uscita a 62 anni di età con 41 di contributi.

Cosa succederà ad Opzione Donna e ad Ape sociale

La stessa deadline è stata fissata anche per Ape Sociale e per Opzione Donna. Le scelte che prenderà il governo, comunque vada, si andranno a basare sulle indicazioni che dovrebbero arrivare, nel corso delle prossime settimane, dal confronto con i sindacati, il Ministero del Lavoro e i dati provenienti dall’Osservatorio sulla valutazione della spesa previdenziale. Tra le ipotesi al vaglio ci sarebbe quella di un bis per Quota 103, con qualche integrazione, che darebbe la possibilità di mantenere la soglia anagrafica minima per accedere alla pensione, che rimarrebbe ferma a 62 anni,

Altri nodi da sciogliere sono quelli relativi all’Ape Sociale e ad Opzione Donna. La prima potrebbe essere estesa, mentre per la seconda i sindacati premono di tornare alla versione precedente, dato che adesso la misura è riservata alle lavoratrici con una ridotta capacità lavorativa, alle caregiver e alle dipendenti delle aziende in crisi.

Bocciata quota 41

Per il momento, il governo Meloni – almeno attraverso il Def approvato ad aprile, non fornisce alcune indicazioni relativamente a Quota 41. L’introduzione in versione secca, però, risulterebbe troppo costosa: le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato, in un certo senso, equivalgono ad una sentenza abbastanza definitiva. Il costo, che oscilla tra i 3 ed i 4 miliardi di euro, non darebbe spazio ad una sua introduzione in versione secca. La Corte dei Conti, tra l’altro, ha sottolineato che Quota 41 è una soluzione al momento non praticabile. Nell’ultimo rapporto, infatti, si legge che “va ricordato che, per il pensionamento anticipato, una forte limitazione all’accesso è determinata non tanto dall’innalzamento del requisito contributivo, quanto di quello anagrafico. Ciò è stato recepito dalle normative delle Quote: Quota 102 (38 anni di anzianità e 64 anni di età) ha generato un esiguo numero di pensionamenti e Quota 103 (41 anni di anzianità e 62 anni di età), che determinerà, in base alle stime, una attenuazione dei flussi in uscita rispetto a quanto si sarebbe realizzato eliminando il vincolo dell’età. Ciò avrebbe determinato effetti finanziari paragonabili a quelli presentati da Quota 100 per la forte presenza di lavoratori che presentano elevata anzianità contributiva e relativamente giovane età”.

Aumenta la spesa per la previdenza

Nel frattempo è destinata ad aumentare la spesa previdenziale. Secondo una recente analisi del Centro Studi Unimpresa, le pensioni in Italia arriveranno a costare 65 miliardi di euro da oggi al 2026, registrando un aumento pari al 22% rispetto al 2022. Il costo totale degli assegni pensionistici si dovrebbe attestare intorno a 318 miliardi nel 2023, registrando una in crescita di 21 miliardi – pari ad un +7% – rispetto al 2022. Rispetto a quanto registrato lo scorso anno, il saldo è destinato a salire nel corso dei prossimi nei tre anni, rispettivamente di 22 miliardi, 10 miliardi e 11 miliardi. alla fine del 2026 la spesa previdenziale risulterà essere pari a 362 miliardi euro.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, la spesa per le pensioni si è attestata a 296,9 miliardi nel 2022, una cifra pari a 15,6% del Pil. Nel 2023 si arriverà a spendere qualcosa come 317,9 miliardi . La spesa salirà, nel 2024, a 340,7 miliardi euro, mentre nel 2025 sarà pari a 350,9 miliardi, e nel 2026 a 361,8 miliardi.

Interventi sulle pensioni sono imprescindibili, ma occorre ragionare sui numeri per evitare di cullarsi su promesse poco realizzabili – spiega Giovanna Ferrara, presidente di Unimpresa -. Il governo ha annunciato misure per anticipare l’età pensionabile che hanno un costo di 10 miliardi sulle casse dello Stato, ma la disponibilità effettiva, al momento, è di appena un paio di miliardi. La traiettoria della spesa previdenziale, al netto delle nuove misure, è già in forte aumento e il sentiero, pertanto, appare particolarmente stretto. Intervenire per ritoccare la riforma Fornero, che ha fissato in linea di massima a 67 anni l’età pensionabile, rappresenta un fattore importante, tanto per i lavoratori, in particolare per quelli che hanno una quota importanti di contributi già versati, quanto per le aziende, chiamate a un ricambio generazionale e creare, così, nuova occupazione. Le nostre statistiche non sono finalizzate a creare sterili polemiche, ma solo a mettere sul tavolo numeri reali sui quali ragionare con concretezza.