Economia

Pensioni, nel 2024 assegni più ricchi ma scivoli più stretti

A partire da oggi, mercoledì 3 gennaio, i pensionati stanno ricevendo l’assegno di gennaio, che sarà più sostanzioso grazie alla rivalutazione legata a quella che viene comunemente definita inflazione prevista. In base ai calcoli dell’Istat, la percentuale di rivalutazione delle pensioni per il 2024 è stata fissata al 5,4%. Gli assegni conterranno anche l’adeguamento alle nuove aliquote Irpef in vigore appunto da questo mese.

Nel dettaglio, le pensioni pari o inferiori a 4 volte il minimo, cioè fino a 2.272,76 euro, saranno rivalutate del 100%, come stabilito nel decreto firmato dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e dalla ministra del lavoro Maria Elvira Calderone: l’aumento effettivo nel caso della rivalutazione piena sarà dunque pari al 5,4% dell’assegno. Se, ad esempio, la pensione è di 1.500 euro lordi mensili, moltiplicandoli per 5,4% si riceveranno 1.581 euro lordi al mese, quindi un aumento di 81 euro.

Per le pensioni più alte, invece, la percentuale scende man mano che aumenta l’importo.
Nello specifico, le pensioni da 4 a 5 volte il minimo, il cui assegno va da 2.271,76 a 2.839,70 euro, saranno rivalutate dell’85%. L’aumento effettivo in questo caso è di 4,59%. Ad esempio, una pensione di 2.500 euro, moltiplicata per 4,59%, diventerà di 2.614 euro, sempre lordi mensili, con un aumento di 114 euro.
Le pensioni da 5 a 6 volte il minimo, da 2.839,70 a 3.407,64 euro, avranno una rivalutazione del 53%, con un aumento pari al 2,862%. Esempio: pensione da 3.000 euro x 2,862% = 3.085,86, con un aumento di +85 euro.
Le pensioni da 6 a 8 volte il minimo, che variano da 3.407,64 a 4.543,52 euro, saranno rivalutate del 47%, con un aumento del 2,538%. Esempio pratico: pensione da 4.000 euro x 2,538% = 4.101,52 euro, con un aumento di 101 euro.
Le pensioni da 8 a 10 volte il minimo, da 4.543,52 a 5.679,40 euro, avranno una rivalutazione del 37%, con un aumento pari al 1.998%. Esempio: una pensione da 5000 euro x 1,998% = 5.099,9 euro, quindi un assegno più ricco di quasi 100 euro.
E infine, le pensioni oltre 10 volte il minimo, con un assegno che supera i 5.679,40 euro, avranno una rivalutazione del 22%, con un aumento effettivo del 1,188%. Esempio: pensione da 6000 euro x 1,188% = 6.071, quindi 71 euro in più.
L’aliquota di quest’ultimo scaglione rappresenta la novità più rilevante riguardante la rivalutazione delle pensioni contenuta nella legge di bilancio 2024: per le pensioni di importo elevato, quindi esclusivamente per la classe di importo superiore a 10 volte il trattamento minimo Inps, viene fissata l’aliquota di rivalutazione del 22% invece che del 32% come nel 2023.

Come ogni anno, anche a fine 2024, l’inflazione attesa sarà confrontata con quella effettiva. Se, come avvenuto nel 2023, l’aumento del costo della vita reale dovesse essere diversa da quella prevista sarà versato un conguaglio (una tantum) nella pensione di gennaio 2025 pari alla differenza fra i due valori: se positiva ci saranno soldi in più, se negativa, purtroppo, soldi in meno.

La rivalutazione delle pensioni post rimodulazione aliquote Irpef

Un altro piccolo aumento nel 2024 arriverà grazie alla rimodulazione delle aliquote Irpef (passate da 4 a 3). La riforma Irpef avvantaggerà ovviamente anche i pensionati (al pari dei lavoratori), visto che l’imposta sul reddito delle persone fisiche viene corrisposta da chiunque abbia un reddito. In questo caso il calcolo è meno semplice, così come l’aumento relativo, perché si tratta sostanzialmente di un accorpamento dei primi due scaglioni. Non esisterà più la fascia 15.000-28.000 euro di reddito, che viene unita a quella fino ai 15.000 euro. Il nuovo schema è il seguente: prima fascia fino a 28.000 euro di reddito lordo annuale, che verserà il 23% di Irpef; seconda fascia da 28.000 a 50.000 euro di reddito lordo annuale, che verserà il 35% di Irpef; terza fascia al di sopra dei 50.000 euro di reddito lordo annuale, che verserà il 43% di Irpef.

Per chi ha un reddito annuo lordo di 25.000 euro, il vantaggio fiscale sarà di 200 euro annui e salirà a 260 per i redditi superiori a 28.000 euro. Per chi ha un reddito complessivo superiore a 50.000 euro dovrebbe essere previsto un taglio lineare alle detrazioni da 260 euro che dunque vanificherà (sopra questa soglia) gli effetti della riforma, mentre i lavoratori con un reddito sotto i 15.000 euro potrebbero beneficiare di un incremento delle detrazioni dei redditi da lavoro (da 1.880 euro a 1.955 euro).

Vie di uscita anticipata più strette nel 2024

Ma la nuova legge di Bilancio non incide solo sulla rivalutazione degli importi delle pensioni, ma anche sulle possibilità d’uscita anticipata, per cui il Governo Meloni ha stabilito una vera e propria stretta, tanto che, in base alle stime, si prevede un dimezzamento delle uscite con anticipi e scivoli.

Nel dettaglio, è stata confermata Quota 103 (composta da 62 anni di età e 41 di contributi) e, nel corso dell’anno appena cominciato, potranno lasciare il lavoro anche i nati nel ’62 che raggiungeranno i 62 anni, a condizione anche di conquistare i 41 anni di attività.
Ma i lavoratori di questa classe rischiano in larga maggioranza di dover attendere di fatto il 2025 per poter lasciare effettivamente il lavoro, perché le finestre mobili fanno slittare in avanti di 7 o 9 mesi (rispettivamente per i dipendenti privati e pubblici), rispetto ai 3 e 6 mesi previsti nel 2023, la conquista del primo assegno dal momento della maturazione dei requisiti.
Solo i lavoratori privati che raggiungono le condizioni richieste nei primi 5 mesi, o nei primi 3 mesi se pubblici, potranno uscire nell’anno. Non basta. Chi andrà via con questa formula dovrà accettare anche il calcolo interamente contributivo del trattamento e non più il sistema misto (retributivo per gli anni sino al 31 dicembre 1995 o al 31 dicembre 2011 se si avevano almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995), con penalizzazione dell’importo anche fino al 20 per cento. I nati nel ’61, invece, sono potuti andare via fin dall’anno appena chiuso, perché i 62 anni richiesti li hanno già conquistati nei mesi scorsi. Ma se non dovessero aver raggiunto i 41 anni di contributi, anche per loro la prospettiva è quella dei nati nel ’62. E questo vale anche per le classi di età precedenti.
Inoltre, la misura del trattamento non potrà superare i 2.272 euro lordi mensili (quattro volte il trattamento minimo Inps) sino al compimento dell’età di 67 anni.

Con il 2024 entrano nell’area di accesso all’Ape sociale i nati del 1961 (oltre che quelli degli anni precedenti che si dovessero trovare in una delle situazioni previste dalla formula nel corso dell’anno appena cominciato), ma non tutti potranno utilizzare lo strumento. L’aumento del requisito dell’età da 63 a 63 anni e 5 mesi fa sì che potranno effettivamente chiedere l’Ape sociale i nati nel ’61 che compiono gli anni fino a luglio. I nati nei mesi successivi potranno conquistare l’assegno solo dal 2025. Riguarda, come nel passato, coloro che si trovano in condizioni di disagio: disoccupati, coloro che assistono familiari disabili, persone con invalidità pari almeno al 74% e chi, con 36 anni (o con 30) di contributi, svolge lavori gravosi (come, per esempio, operai edili, autisti di mezzi pesanti, badanti, infermieri ospedalieri, maestre d’asilo, macchinisti, addetti alle pulizie). Sono stati esclusi però gli appartenenti alle 23 ulteriori categorie di lavoratori che svolgono attività gravose inserite nel biennio 2022-2023, come i professori di scuola primaria, i tecnici della salute, le estetiste e via di seguito. E sono state cancellate le riduzioni contributive per edili e ceramisti.
Non basta: è stata introdotta l’incumulabilità totale della prestazione con i redditi di lavoro dipendente o autonomo a eccezione del lavoro occasionale entro un massimo di 5.000 euro annui. Resta fermo che l’assegno non potrà superare l’importo massimo fino a 1.500 euro lorde mensili, senza tredicesima e senza gli adeguamenti dovuti all’inflazione, fino alla pensione di vecchiaia a 67 anni.

Anche Opzione Donna subisce una nuova stretta: l’età minima sale da 60 a 61 anni, con uno sconto di un anno per figlio fino a un massimo di due. Dunque, potranno utilizzare la via di uscita (uscita anticipata ma pensione ricalcolata con il metodo contributivo, con una penalizzazione tra il 20 e il 25 per cento) le donne dipendenti e autonome con almeno 59 anni (se con due figli), 60 (se con un figlio) e 61 (senza figli) al 31 dicembre 2023, purché abbiano anche almeno 35 anni di contributi e rientrino in una delle seguenti categorie: invalide per almeno il 74%, disoccupate (licenziate o dipendenti di aziende in stato di crisi) o caregiver. Quest’ultime poi al momento della richiesta e da almeno sei mesi, devono dimostrare di assistere il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità. Per le lavoratrici dipendenti il posticipo dalla data di maturazione dei requisiti è di almeno 12 mesi.
Il risultato è che potranno utilizzare questa via d’uscita le lavoratrici che potevano utilizzarla anche nel 2023: le nate dal 1962 al 1964, con 59-61 anni a fine 2023. Dunque, la platea delle candidate sarà anche più ristretta di quella comunque limitata dell’anno passato.

Alla fine, il solo canale che è stato confermato in tutte le sue caratteristiche è il canale precoci che permette di andare in pensione anticipatamente con 41 anni di contributi ai lavoratori dipendenti e autonomi, che abbiano lavorato prima dei 19 anni per almeno 12 mesi. Potranno lasciare il lavoro coloro che, a prescindere dall’età anagrafica, abbiano cominciato a lavorare entro il 1983. Sempre che rientrino nelle categorie dell’Ape sociale.

Come riporta la relazione tecnica della legge di Bilancio 2024, l’anno prossimo dovrebbero accedere a Quota 103 circa 17 mila persone, a Opzione donna 2.200 e all’Ape sociale 12.500 per un totale di circa 31.200 uscite anticipate. Circa la metà rispetto alle 60 mila prospettate nel 2023.